
Bimbo nel parcheggio di Fatehpur Sikri
La fotografia, si dice, sia il geniale prodotto di tecnica e creatività e, come, per tutti i processi creativi, è costruita attraverso scelte, più o meno consapevoli, più o meno esplicite, da parte dell’autore. Scelte che determinano un percorso indicato dalle risposte ad una serie di domande che l’autore si pone in modo più o meno consapevole. Per cui, la dinamica domanda/risposta è fondamentale. Molti penseranno immediatamente che, in una del tutto ipotetica scala di qualità della fotografia, chi possiede più risposte, occuperà il posto più alto. A me invece piace pensare in modo diverso e cioè che fotografi meglio chi ha imparato a porsi le giuste domande, piuttosto di chi ha tutte le risposte.
Non lasciatevi spiazzare, non è un’apologia dell’ignoranza, le risposte ci servono, eccome se ci servono. Quello che intendo dire è che, da sole, le risposte, rischiano di restare un bagaglio di conoscenze teoriche, per quanto vasto, piuttosto arido. Troppo spesso, la colpa di fotografie mediocri, o di scatti banali, non è da cercare nel fatto che “non sapevamo cosa fare o come farlo” (e cioè non possedevamo le risposte), ma al fatto che “non ci siamo posti le giuste domande” (!). Sì, mi piace pensare che la differenza tra un fotografo normale (o scarso, via…) ed uno bravo, sia proprio la capacità di porsi le domande giuste, più che quella di portarsi dietro un pesante fardello di risposte, spesso inutili.
IMPARIAMO A PORCI LE DOMANDE GIUSTE e, naturalmente, a rispondere a queste domande, perché saranno le risposte che daremo alle domande giuste a fare la differenza. Se invece ci concentriamo solamente sul memorizzare le risposte, più risposte possibili, e non impariamo a capire chiederci prima di scattare, difficilmente porteremo a casa risultati memorabili o, in ogni caso, assottiglieremo moltissimo la nostra capacità di migliora.
Un’altra cosa che amo pensare è che NON ESISTONO RISPOSTE CORRETTE, MA SOLTANTO RISPOSTE POSSIBILI e che, ad ogni risposta possibile, corrisponda un risultato, più o meno significativo, Qualcuno vorrebbe ridurre la fotografia ad un corpus di regole da seguire alla lettera, per fortuna non è così.
Attenzione! Imparare a porsi le giuste domande è un ottimo esercizio anche per chi non si sente più alle prime armi.
Due tipi di domande: quelle verso l’esterno e quelle verso l’interno
Il numero di domande che potremmo porci è pressoché infinito, ma il nostro scopo è imparare a capire quali sono le domande corrette che dobbiamo porci, corrette in stretta relazione a quello che stiamo scattando, mentre lo stiamo per scattare. Delle altre, in quel momento, possiamo tranquillamente infischiarcene (!).
Mi piace pensare che ci sia una tipologia di domande che fa riferimento al mondo esterno e, invece, altre che si concentrano sul processo creativo e sulla tecnica. In questo modo, procedere, mi pare un poco più semplice. Naturalmente, più il nostro approccio alla fotografia è sofisticato e più il numero di possibili domande crescerà. In questo post, ne sceglierò dieci dalla categoria delle domande verso l’esterno, riferite cioè alla scena. In un secondo post, ne sceglierò altrettante verso l’interno, cioè domande legate al processo creativo e alla tecnica. Partiamo…
10 domande verso l’esterno
Perché voglio scattare questa scena? È inevitabilmente la domanda dalla quale dobbiamo partire e la domanda che dovremmo porci SEMPRE prima di scattare. Cosa mi ha spinto a inquadrare la scena? Cosa ci ho visto? Cosa voglio che ci vedano gli altri? Qual è il mio intento? Ricordiamoci che qualsiasi risposta vale, anche “boh, ero curioso di vedere come veniva…”, chiaramente ogni risposta indirizzerà in modo preciso il percorso creativo a seguire, la sua realizzazione e, ovviamente, la sua riuscita. Tra rispondere “boh, così per fare…” e “voglio denunciare il degrado etico e morale degli slum” c’è tutto l’Universo Fotografia.
Qual è il vero soggetto della nostra foto? I più attenti avranno notato il corsivo su “vero”. Infatti questa domanda non si riferisce al soggetto come elemento compositivo, ma al soggetto a livello rappresentativo, come simbolo di altro (o per dirla come quelli seri, linguaggio plastico visivo).

Che tipo di luce illumina la scena? Eccoci! La luce! Girateci attorno come vi pare, ma non si può prescindere dalla luce e porsi una domanda su come la luce impatti sulla scena è più che legittimo, è doveroso. Ci siamo chiesti cosa ci ha spinto a inquadrare la scena, ci siamo chiesti qual è l’intento e il vero soggetto, ora è il momento di domandarci se la luce che illumina la scena è adeguata a quello che vogliamo raccontare con quello scatto. Che sensazione ci dà la luce? Com’è il contrasto? Che ruolo giocano le ombre? E il colore? C’è una dominante? È quella che vogliamo? E siccome le qualità della luce varia a seconda dell’ora, nel corso della giornata, se diamo per scontato di trovarci al posto giusto, lo è anche il momento?
Com’è sfondo? Dobbiamo imparare a concentrarci sullo sfondo tanto quanto facciamo per gli elementi in primo piano. Uno sfondo poco azzeccato può rendere mediocre anche il soggetto più memorabile. Troppo spesso ci concentriamo soltanto su quello che compare in primo piano nella nostra scena, salvo poi accorgerci quando ormai è troppo tardi dello sfondo e del suo ruolo nell’inquadratura. Interroghiamoci dunque se lo sfondo della nostra inquadratura è funzionale, se abbiamo modo di limitarne il peso, nel caso fosse troppo ingombrante, o di dargli maggior spazio, in caso contrario – e questo molto spesso lo possiamo fare semplicemente spostandoci un poco o modificando l’inquadratura, o modificando la focale dell’obiettivo. Non accontentiamoci, muoviamoci attorno la scena, spostiamoci, alziamoci, abbassiamoci, allarghiamo il campo, o stringiamolo… fino a quando non troviamo uno sfondo che davvero, secondo noi, funziona davvero.
Cos’ho in primo piano? Molto spesso gli elementi in primo piano coincidono con il soggetto della fotografia. A volte però, soprattutto quando abbiamo a che fare con campi larghi o addirittura larghissimi non è così. Ad esempio, nella fotografia paesaggistica, quasi sempre il soggetto è sullo sfondo, ma è proprio in questi casi che dobbiamo porre maggior attenzione a cosa compare in primo piano. La scelta azzeccata di elementi in primo piano, in uno scatto dove il soggetto è sullo sfondo, rende la nostra fotografia più interessante, meno scontata, più dinamica. Per cui, una volta trovato un soggetto sullo sfondo che secondo noi funziona, chiediamoci se quello che compare in primo piano è funzionale.

La kasbah di Ait Ben Haddou. I sassi nel fiume hanno un peso importante, in questo scatto
Come interagiscono sfondo e primo piano? All’interno dell’inquadratura, tutti gli elementi interagiscono tra loro e quindi, ovviamente, anche sfondo ed elementi in primo piano. Lo sfondo è troppo presente? C’è modo per renderlo meno protagonista? L’interazione cromatica tra sfondo e primo piano è quella che cerchiamo? Oppure, lo sfondo dà abbastanza supporto al primo piano? Come si modifica la relazione sfondo/primo piano se cambiamo focale o punto di ripresa, se modifichiamo l’inquadratura?
Che colori presenta la scena e come interagiscono tra loro? Osserviamo la scena e analizziamo i colori presenti e come questi interagiscano tra loro. La palette è estesa? È armoniosa? Oppure siamo in presenza di colori complementari capaci di creare una maggiore tensione? Il colore veicola emozioni. I colori presenti veicolano le emozioni corrette per quello che stiamo raccontando? Abbiamo modo di escludere i colori che pensiamo non siano adatti, magati stringendo il campo?
C’è contrasto nella scena? I contrasti creano tensione. Cerchiamoli o escludiamoli, ma evitiamo le indecisioni. I contrasti possono essere di vario tipo, ad esempio. I contrasti possono essere relativi alla forma degli elementi, ad esempio grande/piccolo; o relativi al colore, ad esempio due colori complementari (cioè opposti tra di loro sulla ruota cromatica); ma possiamo anche cercare contrasti ad un livello più concettuali, ad esempio dolce/salato, duro/morbido, liscio/rugoso, leggero/pesante; e l’astrazione può aumentare, ad esempio ordine/disordine, caldo/freddo, nord/sud, est/ovest, sacro/profano, odio/amore, uomo/donna, giovane/anziano, nuovo/vecchio, bello/brutto, innocente/malizioso. Impariamo ad individuare l’eventuale contrasto tra gli elementi presenti e impariamo a sfruttarne la forza evocativa e la tensione che aggiunge allo scatto. Esaltiamo i contrasti, se è tensione il risultato che vogliamo, o escludiamoli, se pensiamo che il nostro intento necessiti di altro.
E fuori dall’inquadratura? Quello che non inquadriamo, non esiste. La frase non è mia, è di David duChemin, un fotografo canadese, ma la condivido totalmente. Quando inquadriamo, siamo chiamati a fare un’operazione di esclusione, decidendo quale porzione di scena verrà inclusa nel nostro scatto e quale invece verrà esclusa. A volte però l’inquadratura che scegliamo non riesce a conservare la forza o la chiarezza del messaggio che ci parevano così evidenti al momento del click. Questo succede perché noi stessi siamo parte della scena e qualche volta questo coinvolgimento non ci fa valutare in modo obiettivo il reale apporto significativo del contesto e di ciò che stiamo lasciando fuori dalla nostra inquadratura. Stiamo lasciando fuori qualche elemento fondamentale? E se allargassimo al massimo, usando una focale piccola? E se stringessimo, invece?
È il momento giusto? Se si tratta di panorami, il momento giusto è strettamente legato alla qualità della luce e, con buona pace degli amanti di questo tipo di fotografia, piuttosto facile da prevedere e pianificare. Quando scattiamo persone o animali, le cose si complicano e il momento giusto è soltanto quel momento che, secondo noi, riesce a catturare l’essenza della storia, quello che Henri Cartier-Bresson chiamava “il momento decisivo” e non a casa, perché riuscire a catturare quel momento, significa raccontare al meglio una storia. Spesso si tratta di un gesto, altre volte si tratta di una coincidenza. Chiediamoci quale potrebbe il momento decisivo della nostra storia e quali caratteristiche lo renderebbero tali, quali soggetti, quali gesti. E prepariamoci a coglierlo – oltre che a raccogliere numerosi e frustranti niente-di-fatto. Impariamo ad anticipare mentalmente i gesti dei nostri soggetti, ad anticipare le situazioni, i movimenti e chiediamoci se quello che abbiamo scattato fino a quel momento davvero ha catturato l’essenza della storia.
Spero di non avervi annoiato oltre modo, in caso contrario, vi dò appuntamento al prossimo post e alle prossime 10 domande.
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