
Sporchiamoci le mani con i negativi digitali!
Molti di noi associano la parola “sviluppo” a tempi ormai lontani (anche se stiamo parlando soltanto di qualche decennio fa), durante i quali i pochi invasati di fotografia si chiudevano in stanzini illuminati da lampadine rosse e armeggiavano con bacinelle, pinzette e negativi. Era roba per pochi, era roba che confinava con l’alchimia (!) – ma che, nonostante l’abbia praticato per poco tempo, dava un gusto tutto particolare.
Ora che siamo diventati tutti fotografi (leggeteci pure un briciolo di sarcasmo, N.d.A), molti di noi accostano lo sviluppo solamente ai mercati asiatici o alla crescita dei propri figli. E invece, nonostante la rivoluzione digitale, lo sviluppo resiste! Si è trasformato, ovvio, ma esiste e, proprio come nei giorni della pellicola, rappresenta il secondo passo – il primo dovrebbe avvenire in macchina – per liberare tutta la creatività e capacità di un fotografo.
Gli irriducibili del JPG avranno intuito da questa apertura che questo post non li riguarda, ma, se mai volessero porgere il fianco al mondo del RAW, scoprendo che in realtà si tratta più di un universo di possibilità, che di un mondo pericoloso e poco amico, sono i benvenuti.
Quando impostiamo il formato RAW è come se la nostra macchina non registrasse una vera e propria immagine, ma bensì generasse un file che contiene le informazioni di partenza per andare successivamente a costruire una delle infinite possibili immagini – chiaramente non sto parlando della possibilità di sostituire quello che si ha fotografato, ma di modificare con una estrema flessibilità praticamente tutti i parametri del nostro scatto, dall’esposizione, all’aberrazione cromatica, alla tonalità, alla correzione dei difetti delle ottiche e molto altro ancora. Beh, se io fossi un fanatico del JPG, letto questo, avrei già deciso di abbandonare quel formato e passare senza ripensamenti alcuni al RAW.
Quello che tiene lontani ancora molti amici dalle potenzialità di scattare in RAW è sicuramente il fatto che scattando in RAW non siamo in grado di vedere e distribuire immediatamente quello che abbiamo scattato: è necessario un passaggio in più, lo sviluppo del negativo digitale. Questo significa che per mettere i nostri scatti su Facebook, Instagram o per darli agli amici, dobbiamo applicarci un poco di più, ma credetemi il gioco vale la candela.
I file RAW, per essere convertiti in immagini (solitamente in formato JPG o TIFF) devono venir sviluppati con applicazioni dedicate – sia stand-alone, sia plug in dei software più comuni (Photoshop o Lightroom) – e lo sviluppo, per alcuni versi, è molto simile a quello che accadeva negli sgabuzzini di molti anni fa, con acidi, bacinelle e pinzette.
Cosa possiamo fare con un negativo digitale RAW Importando un’immagine scattata in formato RAW all’interno di una di queste applicazioni (ad CameraRaw), il software ci mette a disposizione una gamma enorme di parametri sui quali intervenire. Senza addentrarci troppo nello specifico, ma fermandoci ad esempio ai parametri più semplici da gestire e capire, possiamo intervenire con grande facilità su:
bilanciamento del bianco
tonalità generale
esposizione
contrasto
alte luci
ombre
bianchi
neri
chiarezza
vibranza
saturazione
e questo soltanto per fermarci ai primi parametri, perché volendo addentrarsi, incontriamo parametri per gestire la nitidezza, il rumore, le distorsioni legate all’obiettivo usato, i profili delle diverse macchine fotografiche e moltissimo altro ancora.
Il miracolo dello sviluppo digitale Sì, miracolo! Avete letto bene, MI-RA-CO-LO! Lo sviluppo digitale porta con sé un aspetto vagamente miracoloso – non che non ci fosse nello sviluppo dei vecchi negativi: qualsiasi modifica o intervento apportiamo non viene scritta direttamente sul file della nostra fotografia. E allora!? E allora significa che il nostro scatto originale resterà sempre intatto, perché tutte le modifiche impartite in fase di sviluppo vengono scritte in un file accompagnatorio (un file XML) che viene salvato con il file RAW originale. Indi per cui, possiamo sbizzarrirci nel creare tutte le versioni che vogliamo partendo dallo nostro scatto originale, senza timore di non poter tornare indietro. Non poco! Facciamo un esempio. Ci siamo alzati all’alba per cogliere la magia della kasba di Ait Ben Haddou e naturalmente scattiamo in RAW. Una volta scaricato il file impostiamo una serie di parametri che ci sembra ci soddisfino ed ecco il risultato.

Sviluppo scelto
Il JPG sopra è il risultato dello sviluppo digitale che abbiamo scelto – in tutta onestà, non molto lontano dallo scatto originale. Ma immaginiamo di voler provare sviluppi alternativi, ed ecco l’aspetto miracoloso. Non facciamo che riaprire il file RAW originale, scegliere l’impostazione “come scattato”, per azzerare tutte le impostazioni che abbiamo usato per ottenere il primo risultato e ripartire, seguendo quello che la nostra creatività ci suggerisce. Ad esempio…

… ecco uno sviluppo completamente diverso, ma possibile (anche se non ha nulla a che fare con l’atmosfera che ci siamo trovati davanti alla macchina fotografica quella mattina). È stato sufficiente modificare qualche parametro generale: spostare il bilanciamento del bianco su una luce più fredda, introdurre una dominante giallo/verde, sottoesporre di circa 1EV, aumentare il contrasto, aprire un po’ le ombre e i neri e aumentare la saturazione. Lo so, letto così potrebbe sembrare fuori portata per molti di noi, ma credetemi, si fa tutto spostando un po’ in su e un po’ in giù degli slider, con il conforto dell’anteprima su tutte le correzioni che stiamo apportando.
O ancora…

… qui invece è bastato azzerare la saturazione, per eliminare i colori, lavorare un po’ con l’esposizione e con i neri e i bianchi.
Queste sono soltanto due delle infinite possibili soluzioni di sviluppo e tutto senza modificare fisicamente un singolo bit del file originale – tutte le modifiche vengono memorizzate in un secondo file XML.
Gli irriducibili del JPG urleranno: lo possiamo fare anche noi! Vero – o quasi. Lo possono fare anche loro, ma, innanzitutto, partendo da un file che è già stato processato dal computer della nostra macchina e che, facendo ciò, è intervenuto più o meno drasticamente sui dati originariamente immagazzinati dal sensore, tagliando qui, limando là… Lo possono fare anche loro, a patto che non sovrascrivano il file originale, perché qualsiasi software di photo editing apporta le sue modifiche sui bit del file originale. Lo possono fare anche loro, ma non tutte i parametri che mette a disposizione un applicazione di sviluppo digitale sono a disposizione per intervenire su file in formato definitivo (JPG, TIFF, GIF, ecc.). Per non parlare poi della possibilità si salvare una serie di impostazioni di sviluppo, in modo da poterle recuperare successivamente e riapplicare senza colpo ferire, o la possibilità di applicare lo stesso sviluppo ad uno stack di immagini, in modo di ottenere una consistenza e una continuità di risultati – perfetto ad esempio per un gruppo di scatti fatti alla stessa ora o in condizioni simili.
Mi fermo qui. Non ho la supponenza di voler convincere nessuno a cambiare le proprie abitudini. Ognuno continui a scattare nel formato che più lo fa sentire tranquillo, ma, quando dall’altra parte del proprio metodo, c’è un’alternativa che offre infinite possibilità, io, magari un’occhiatina gliela darei.
Credetemi, i risultati ci ripagheranno della fatica di sviluppare i nostri file RAW.
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