Uno scatto fotografico, che che ne dicano i maniaci della ferraglia, nasce nelle nostre teste. È la rappresentazione di un’idea che della scena prende soltanto in prestito gli elementi per raccontare una storia che è tutta nostra.
Questo concetto, che mi è particolarmente caro, non è così esplicito in tutte le tipologie di fotografia, ad esempio lo è molto meno nella fotografia di paesaggio di quanto non lo sia nella ritrattistica.

© Walter Meregalli – Una domenica pomeriggio a Delhi. Credo che questo scatto sintetizzi in maniera piuttosto chiara la crasi tra “istinto” e “costruzione” per raccontare una storia
Lo scatto, tra istinto e metodo
Lo scatto che ho scelto sopra credo mostri davvero bene quello che considero il giusto equilibrio tra istinto e metodo nel costruire un’inquadratura capace di racontare una storia.
L’intento, e cioè il perché ho scelto di scattare la scena è piuttosto chiaro ed è legato alla voglia di raccontare la morsa del caldo che attanaglia le giornate che precedono il monsone nelle grandi città indiane.
Dopo un pomeriggio a zonzo, l’afa mi affaticava il respiro e quando, aggirandomi dalle parti di India Gate, ho notato come la gente del posto cercasse qualche attimo di refrigerio nelle fontane del parco, ho sentito di voler raccontare quella storia.
Lo scatto, prodotto della visione
I modi per raccontare una storia, partendo da una scena, sono davvero molti, qualcuno più efficace, qualcuno meno, ma tutti sono profondamente legati al nostro modo di intendere la fotografia e sono frutto di svariate contaminazioni personali.
Se l’intento è spesso il frutto di immediatezza e di spontaneità, la visione è invece qualche cosa che arriva da lontano.
La visione si costruisce nel tempo e si affina con la pratica e con l’esperienza, influenzata dalla cultura personale e dagli interessi che ognuno di noi sviluppa nel quotidiano, anche al di fuori della fotografia.
Visione e sensibilita’
Non fraintendetemi, la visione non è soltanto una questione di metodo.
La grande differenza che fa la visione di un buon fotografo da quella di un fotografo soltanto mediocre ha molto spesso a che fare con l’aspetto più spontaneo, quello cioè legato alla sensibilità di ognuno di noi.
Quando mi sono trovato di fronte alla scena della fotografia sopra, non ho avuto dubbi: potevo raccontare una buona storia (intento).
Ho poi cominciato a ragionare su come avrei voluto raccontare quella storia che mi offriva la scena.
L’istinto mi ha suggerito il controluce.
Non è stata una scelta dettata da qualche implicazione stilistica o di linguaggio, semplicemente ho sentito che quella storia sarebbe risultata più interessante se l’avessi affidata alla luce radente che illuminava la fontana da destra.
Gli aspetti più ragionati della visione sono invece legati alle scelte tecniche.
Un teleobiettivo poteva darmi un taglio sufficientemente stretto, in modo da concentrare l’attenzione su pochi elementi e la scelta di sovraesporre mi garantiva di non perdere i dettagli nelle ombre, che avrebbero risotto il soggetto ad una semplice silhouette.
Ho ragionato sul diaframma che mi avrebbe consentito di sfocare sufficientemente lo sfondo e sul tempo che avrebbe fermato le gocce colpite dalla luce radente.
Successivamente ho sperato in un gesto eloquente da parte del soggetto e sono stato ripagato prima che la finestra di tempo utile perché la luce si mantenesse ideale si fosse chiusa irrimediabilmente.
Dopodiché ho composto…
Stessa scena, due storie

© Walter Meregalli – Domenica pomeriggio a Delhi. Stessa scena, scelte diverse: storie diverse,
Ecco un altro scatto della medesima scena,
I due scatti raccontano due storie sensibilmente diverse, oppure, potremmo dire, due aspetti della stessa storia.
La differenza sta tutta nelle scelte fatte prima di fare click e questo dovrebbe aiutarci a sgombrarci la testa dalla sciocca convinzione che una scena la si può scattare soltanto in un modo.
Nel secondo scatto, chiudendo, ho creato una silhouette.
Ho ragionato sul fatto che i soggetti, anche come semplici forme, era sufficiente intelligibili ed esplicite, unico modo perché questo scelta stilistica funzioni.
Una focale meno spinta mi ha permesso di includere più elementi, raccontando una storia diversa, fatta di relazioni e di convivialità.
La sola scelta comune nei due scatti è il controluce.
Questo ci può aiutare a capire come anche la stessa luce possa offrire soluzioni creative diverse. Dipende soltanto da noi e dalla nostra visione.
Costruire la storia componendo lo scatto
Lo ripeto di continuo, ogni volta che ne ho l’occasione: la differenza tra uno scatto buono ed uno mediocre, spesso, sta nella composizione.
Comporre un’inquadratura significa fare scelte consapevoli che influiranno su come verrà percepito il nostro scatto e dunque il messaggio che gli affidiamo.
La composizione ci aiuta a costruire la storia.
Attraverso la composizione decidiamo cosa entrerà nell’inquadratura e cosa invece resterà fuori, quale peso visivo avranno gli elementi inquadrati e che relazione esiste tra di loro, reale o semplicemente suggerita.
La composizione ha come scopo principale quello di guidare l’occhio di chi guarderà il nostro scatto in modo da rendere più chiaro il messaggio.

© Walter Meregalli – Framed Taj È possibile andare oltre la solita inquadratura. Farlo è anche molto legato alla visione che abbiamo sviluppato.
Lo scatto come prodotto di scelte
Chi pensa che la fotografia sia il frutto di un moto istintivo, dovuto alla sola capacità di cogliere l’attimo, personalmente credo abbia ragione soltanto a metà.
Quanto è vero che sono convinto che lo scatto nasca nella nostra testa, prima ancora che nel sensore della nostra fotocamera, sono altrettanto altrettanto convinto che sia il prodotto di una serie di scelte, al di là della rapidità con la quale le compiamo.
La fotografia è in parte creatività – arte – e in parte tecnica.
Non dobbiamo pensare però che le scelte consapevoli siano soltanto legate all’aspetto tecnico, anche la creatività, anche l’arte, sono il prodotto di scelte che l’autore è chiamato a fare.
Lo scatto è dunque frutto di metodo, di risposte a domande circostanziate e di consapevolezza di ciò che si vuole ottenere.
Impariamo a porci le domande giuste e non preoccupiamoci troppo se avremo o meno le risposte corrette, anche perché, quasi sempre le domande che ci faremo non hanno una risposta giusta, ma il semplice fatto di porcele, ci aiuta a prendere consapevolezza di quello che stiamo facendo.
Quali domande?
Com’è la luce, cosa suggerisce? Com’è lo sfondo, come interagisce con il soggetto principale? Sto componendo nel modo più efficace?
Queste sono alcune delle domande che possiamo porci. Sono certo che ognuno di noi saprà formularne altre e quando il tempo ce lo consente, senza rischiare di perdere l’attimo, poniamocele, ci aiuteranno a fotografare meglio.
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