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Fotografare in viaggio, alcuni consigli pratici

Viaggio e fotografia, un matrimonio perfetto, un matrimonio d’altri tempi, di quelli a prova di divorzio.

Scherzi a parte, molto spesso la fotografia è la molla che fa scattare la voglia di viaggiare, questo per dire semplicemente quanto le due attività siano squisitamente complementari. Senza aggiungere il dettaglio che molti di noi, addirittura, fotografano soltanto quando viaggiano – e questo non è proprio bene, se ci consideriamo amanti del click.

altalena madhya pradesh

© Walter Meregalli – La soddisfazione di raccontare una storia unica e di farlo condensandola in un istante sospesa dal tempo. Per me anche questo significa raccontare un viaggio. Che tipo di scatto ho fatto? Un’istantanea!? Street photography!?


La fotografia di viaggio NON esiste

Proprio così. Personalmente non credo esista una categoria che possa rispondere al nome di fotografia di viaggio, per lo meno non come la si possa intendere per alti generi specifici, come ad esempio la fotografia sportiva o la fotografia di matrimonio o la fotografia di ritratto.

Trovo la locuzione fotografia di viaggio  priva di significato, se non quasi sciocca. Esiste il viaggio, la cui accezione è già molto personale, ed esiste quello che durante il viaggio  decidiamo di fotografare, che può essere di natura estremamente varia, sia per soggetto sia per intento sia per linguaggio che scegliamo.

Ad esempio, in un viaggio, con l’intento di renderne l’atmosfera o la dimensione, ci può capitare di scattare dei ritratti, così come delle istantanee, o paesaggi o dettagli o altro ancora.

Per intenderci, questo in qualche modo, abbraccia quasi tutta la fotografia.

Per cui preferisco parlare di fotografia in viaggio e cioè tutto quello che decidiamo di fotografare per raccontare la nostra storia di viaggio.

Miglioriamo l’approccio alla fotografia in viaggio

Non si smette mai di imparare, anche se spesso proviamo a convincerci del contrario. Ognuno di noi ha margini di miglioramento più o meno ampi, più o meno evidenti od espliciti.

Non dobbiamo smettere di sperimentare, non dobbiamo MAI pensare che non ci sia più niente da imparare, perché non è così.

Possiamo migliorare la nostra tecnica o la composizione, possiamo approfondire la nostra capacità di raccontare storie attraverso le immagini, possiamo migliorare nell’impiego di un certo linguaggio, approfondire un certo tipo di fotografia.

Ognuno di noi può miglioramento, basta volerlo,

Tenendo bene in mente questo modo di vedere le cose, anche il nostro approccio a come fotografiamo in viaggio può migliorare, crescere e farci crescere.

Paradossalmente, possiamo migliorare ciò che fotograferemo in viaggio prima ancora di partire, da casa. Come?

Ecco alcuni consigli pratici che ci possono aiutare a farlo.

taj mahal

© Walter Meregalli – Framed Taj È possibile andare oltre la solita inquadratura, ma, per farlo, bisogna evitare di presentarsi al Taj Mahal di venerdì: è chiuso.


Documentiamoci sul viaggio che affronteremo

Viviamo nell’era di internet. Non abbiamo più nessuna scusa. Basta uno smartphone per farsi un’idea più che precisa dei luoghi che visiteremo. FACCIAMOLO!

Documentiamoci. Documentarsi  è il primo passo, fondamentale, oltre che divertente.

Guide stampate, libri, riviste, siti web, blog, amici che ci sono già stati dove andremo. Le informazioni sono ovunque e di solito molto abbondanti – fin troppo.

Informiamoci sui monumenti, sui luoghi d’interesse, sulle attrazioni. Informiamoci su particolari usanze e costumi del posto, sul cibo tipico, sulle tradizioni, così come sulle manifestazioni sportive, musicali o religiose,  che di solito, a noi fotografi, riservano grandi soddisfazioni per noi fotografi.

Annotiamo da qualche parte nomi, indirizzi, curiosità, ma – soprattutto – orari e giorni di chiusura, per evitare giri a vuoto. Ad esempio, sapere che il Taj Mahal solitamente rimane chiuso di venerdì, ci risparmierà di presentarci come perfetti ebeti di fronte alle saracinesche chiuse della biglietteria.

Prendiamo nota. Non importa che lo si faccia a matita, sulle pagine di una Moleskine, alla Bruce Chatwin, o che ci si affidi ad un app – che fa molto globetrotter 2.0. L’importante è farlo. L’importante è raccogliere informazioni utili, ma soprattutto organizzarle secondo criteri che ci sono familiari.

Buttar giù delle note, ci aiuterà a non perdere tempo una volta partiti, oltre a darci un’idea un po’ più chiara di quello che ci aspetta. Nessuna paura, non toglierà quel gusto dell’ignoto che ammanta il viaggio, posso tranquillamente mettervelo per iscritto, nonostante le nostre note, il viaggio – qualsiasi viaggio – saprà comunque sorprenderci.

Ora ci serve soltanto uno zaino in grado di contenere tutta questa attrezzatura…


Scegliamo l’attrezzatura giusta

Gli inglesi hanno un modo di dire piuttosto colorito per indicare l’esagerazione:  “everything but the kitchen sink”, che letteralmente si può tradurre con “tutto, tranne il lavello”, ma che comunemente viene usata per dire quando ci porta dietro tutto, anche le cose più inutili

Per, cui, soprattutto in viaggio, evitiamo di portarci anche lavandino.

Personalmente non sono un cultore del viaggiare leggeri. Quando viaggio – e fotografo – voglio poter disporre di tutta l’attrezzatura che credo mi possa essere utile e questo, inevitabilmente, si traduce in spazio e peso.

Il mio consiglio è semplice: ognuno di noi faccia mente locale e butti giù un’elenco, dove in testa metterà ciò che ritiene indispensabile e ciò che costituisce la sua attrezzatura di base per un utilizzo quotidiano, seguito da ciò che pensa potrebbe utilizzare in alternativa, magari non spesso, e poi da tutto quello che considera una sorta di plus. A chiusura, si appunterà ciò che di sicuro non utilizzerebbe mai.

Una volta organizzata la lista secondo questo principio, ci sarà molto facile capire dimensioni e peso della nostra attrezzatura fotografica da viaggio.

Infine, concentriamoci sul tipo di viaggio che stiamo per affrontare e apportiamo le eventuali correzioni alla lista. Se pensiamo che ci toccherà camminare molte ore, ragioniamo attentamente sull’opportunità di caricarci sulle spalle uno zaino con dieci e passa chili di attrezzatura. Ma se siamo fotografi esigenti, evitiamo di partire con un corpo macchina e un 50mm fisso, per poi maledirci di fronte a paesaggi mozzafiato, rimpiangendo inutilmente di aver scelto di lasciare a casa il grandangolo.

Viaggiare leggeri è un imperativo, la soglia della leggerezza però è un dettaglio squisitamente personale, che dovremo saper far andare a braccetto con il tipo fotografia che prediligiamo, con le aspettative che nutriamo e, ovviamente, con la nostra capacità di caricarci come piccoli muli da soma.

È da qui che parte il nostro percorso verso il miglioramento, dal manuale


In viaggio non ci devono essere buchi di conoscenza

Qualunque cosa alla fine decideremo di portarci, in termini di attrezzatura, non dovrà avere segreti per noi.

Dobbiamo conoscere ogni funzione e ogni possibilità di ogni singolo pezzo di attrezzatura che ci portiamo. Questo è imperativo, affinché, una volta arrivati a destinazione, una volta sul campo, ci si possa dedicare semplicemente  a fotografare.

Non solo dobbiamo imparare ad impostare rapidamente le funzioni della nostra fotocamera, ma dobbiamo comprenderne potenzialità e limiti, in modo da sfruttare al meglio le prime ed aggirare gli altri.

È soltanto spazio sprecato e peso inutile se ci portiamo dietro un flash, ma non abbiamo idea di come funzioni e di quali potenzialità ci possa offrire.

La conoscenza passa attraverso una semplicissima attività, quella di leggere il manuale.

Leggere i manuali è una di quelle cose che fa storcere il naso quasi a tutti. Alzi la mano chi di noi si dice particolarmente felice di mettersi lì e leggere il manuale della propria fotocamera. Ad essere sincero,  non è che i vari signori Nikon o Canon o Sony o altro si diano poi così tanto da fare per rendere i manuali una lettura interessante. Tante, troppe, paginette noiosissime, zeppe di rimandi, scritte quasi di malavoglia. È vero, ma ci tocca.

Ammetto che se avessi sempre letto i manuali delle mie macchine, più di una volta me la sarei cavata più rapidamente.

Ad esempio, leggendo il manuale, spesso si scopre come richiamare rapidamente le funzioni più usate o come assegnare profili di scatto o di lettura o di messa a fuoco. Leggendo i noiosissimi manuali, si scopre come crearsi funzioni personalizzate, che possono aiutarci a non perdere tempo o a ritardare lo scatto, ad eseguire più esposizioni per scatto, a realizzare un time-lapse senza più doversi affidare a software di post-produzione o ad impostare un tempo di X Sync personalizzato.

Insomma, facciamo come facevamo con lo sciroppo amaro: turiamoci il naso e pensiamo che stiamo affrontando quella piccola sofferenza per il nostro bene (!).

Il mio consiglio è quello di lasciare sempre un piccolo spazio in valigia o nello zaino per il manuale della nostra fotocamera – per gli amanti della tecnologia, ormai è possibile scaricare qualsiasi manuale in formato PDF e caricarlo sul proprio tablet o smartphone.

Lo porto o non lo porto?


“Computer o non computer…

… questo è il dilemma, se sia furbo soffrire i colpi della sua mancanza o barcamenarsi contro un mare di affanni e, contrastandoli, porre loro fine?”

Come bardo non sono granché, ma il senso è piuttosto chiaro. Molti di noi tentennano e non poco per dare una risposta definitiva alla fatidica domanda “ma il computer me lo porto o no?”

Senza scomodare oltre modo Amleto, la risposta, per la stragrande maggioranza delle volte – per lo meno per ciò che mi riguarda – è NO.

Un portatile significa ingombro e peso, ma soprattutto, un altro costosissimo giochino da tener sempre con sé e sott’occhio. Un portatile, nonostante le sirene pubblicitarie, è delicato e poco gradisce gli urti e gli scossoni.

Per cui, a meno l’impiego di un computer portatile non rappresenti un passaggio cruciale ed irrinunciabile del nostro flusso di lavoro in viaggio, da non confondere con il flusso di lavoro che ci attende una volta rientrati, il mio consiglio è quello di lasciarlo a casa.

Se invece siamo chiamati a scaricare quotidianamente quanto scattato, a passare in rassegna le fotografia, a sceglierle e a post-produrle, perché dobbiamo pubblicarle o inviarle contestualmente , allora non possiamo fare a meno di viaggiare con un laptop al nostro seguito.

Se il dubbio riguarda semplicemente la conservazione degli scatti, via via che procediamo nel nostro viaggio, molto meglio portarsi dietro qualche card in più e lasciare i file lì dove sono, perché le card offrono ormai un grado di sicurezza elevatissimo. Le card resistono molto meglio agli urti, all’acqua, alla polvere o al caffè (!) di qualsiasi portatile.

I fanatici del back-up possono regalarsi uno di quei costosi gioielli che accettano in ingresso qualsiasi formato di card e permettono di scaricare i file memorizzati su velocissimo dischi SSD. Il vantaggio rispetto ad un laptop: la compattezza. Lo svantaggio: le possibilità di intervento.

walter meregalli fotografia

© Davide Gardina – Per anni quest’immagine ha sintetizzato il mio modo di intendere la fotografia e il viaggio. Si può comunque trovare una dimensione meno asociale, senza per questo negarsi la soddisfazione di fotografare


Fotografare con altri compagni di viaggio

Personalmente, quando fotografo, viaggio da solo, ma non per tutti è così.

Considero la fotografia una pratica molto intima e per lungo tempo ho faticato moltissimo a mostrare una qualsivoglia capacità relazionale mentre fotografavo, motivo per il quale se fotografavo, sceglievo di viaggiare da solo.

Se invece siamo in vacanza o in viaggio con altre persone, le quali magari non condividono la nostra passione per la fotografia, è fondamentale che imparare un minimo di quella che mi piace chiamare l’etichetta del fotografo educato.

Se viaggiamo in gruppo, evitiamo di imporre a chi non è interessato alzatacce all’alba, per cogliere quella luce magica. Questo non significa rinunciarvi a priori, ma, più sensatamente, organizzarsi per tempo, sganciandosi dal gruppo, se necessario, per poi ricongiungersi successivamente.

Ritagliamoci momenti da dedicare alla fotografia, pianificandoli con il resto del gruppo, cercando di tenere in considerazione le necessità e le aspirazioni di tutti.

Credetemi, so bene di cosa parlo, quando dico che la passione incontrollata per la fotografia ha rovinato un numero imprecisato di vacanze e di viaggi.

Ci sono luoghi che possono offrire molto sia a chi fotografa sia a chi non condivide la stessa passione. Ci sono invece luoghi che suscitano interesse soltanto per chi, come noi, ha al collo una fotocamera. Cerchiamo di mantenere una certa obiettività nel momento in cui proponiamo mete comuni.

Un altro dettaglio che troppo spesso noi fotografi tendiamo a non considerare è il tempo.

Il fotografo ha una cognizione del tempo tutta sua, tanto da considerare perfettamente normale sedersi su una roccia ad aspettare la luce buona qualche ora, cosa che generalmente rende isterico e aggressivo chiunque non nutra la nostra passione.

Anche se sono più che convinto che chi ha intenzione di dedicarsi alla fotografia seriamente quando viaggia debba organizzare viaggi che girano attorno ad essa – ed è proprio per questo motivo che ho iniziato ad organizzare i miei viaggi fotografici.

È però possibile raggiungere un buon compromesso, che non scontenti nessuno. Che non faccia inferocire chi non fotografa e che non tarpi le ali a chi invece vuole fotografare.

Chiarezza e un pizzico di diplomazia e rispetto devono essere le linee guida.

Fotografare assieme ad un gruppo che non fotografa, anche se non è esattamente la condizione ideale, è comunque possibile, basta essere chiari, usare il giusto tatto, capire e rispettare le necessità altrui, ma non per questo assoggettarsi completamente. In ogni caso: no allo scontro.

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