Less Is More. Non è farina del mio sacco, anche se in quel sacco mi trovo davvero a mio agio, si tratta dell’apologia della semplicità, coniata e sostenuta dall’architetto tedesco Ludwig Mies van der Rohe.
L’inno alla semplicità, l’invocazione a disfarsi di ciò che è superfluo per raggiungere il massimo attraverso il minor numero di elementi.
Pensata per essere applicata all’architettura, la teoria minimalista di Mies van der Rohe ha prodotto risultati di grandissimo valore nel design e nella grafica. Estesa alla fotografia, ci costringerà a migliorare sia la tecnica, sia l’impiego della composizione, ma soprattutto ci sorprenderà con la qualità e la forza degli scatti che otterremo.

© Walter Meregalli – Linee nella notte Il ponte di Calatrava a Reggio Emilia si trasforma in un disegno rigoroso di linee su uno spazio negativo nero
Manteniamo le cose semplici
L’approccio minimalista è tutto fuorché banale e semplice, perché purtroppo non basta togliere elementi dall’inquadratura per ottenere scatti degni di nota, il rischio è scivolare nella pochezza.
Il successo dell’approccio minimalista passa attraverso l’uso intelligente e creativo di elementi di base quali linee, forme geometriche, aree di colore, ombre definite ed oggetti isolati, e la capacità di organizzarli secondo una composizione particolarmente curata.
Allenare l’occhio alla semplicità
Non dobbiamo scoraggiarci se all’inizio fatichiamo ad individuare all’interno della scena gli elementi grafici con i quali organizzare l’inquadratura. Come per tutto, occorre un po’ di tempo e un po’ di pratica.
Quasi sempre il mondo che ci sta davanti ci offre scene piuttosto congestionate, questo non significa che non si possa operare con un approccio minimalista. Dovremo allenarci un po’ ed imparare a muoverci nella scena, imparare ad individuare gli elementi con i quali possiamo costruire inquadrature più asciutte capaci comunque di garantire scatti interessanti. Dovremo allenare l’occhio a scovare linee e forme, sganciandole, se necessario, da quello che realmente sono nel mondo reale.
Quest’ultima operazione richiede una certa capacità di astrarsi da quello che vediamo, che si ottiene riducendo gli elementi della scena a semplici linee e forme geometriche e andando a caccia di aree di colore o di ombra.
Semplice, non banale
Keep It Simple. Ecco un’altro mantra che circola negli ambienti creativi, sia che si tratti di musica, sia che si tratti di design grafico. Mantieni le cose semplici, keep it simple.
Mantenere le cose semplici è forse uno degli esercizi creativi più impegnativi. Siccome il rischio di scivolare irrimediabilmente nel banale è sempre presente, la cura dev’essere massima, nel scegliere gli elementi da includere e quelli da lasciar fuori, nel posizionarli all’interno dell’inquadratura, nel battezzare il taglio giusto o l’angolazione migliore.
La semplicità è, prima di tutto, un approccio mentale. Dobbiamo imparare a semplificare l’inquadratura prima ancora di portare la macchina fotografica all’occhio, rendere il processo di eliminare gli elementi che portano distrazione immediato, automatico – e questo ce lo garantisce soltanto la pratica. Dobbiamo imparare a vedere il mondo come lo vede la nostra fotocamera, così da depotenziare uno sfondo troppo presente attraverso una scarsa profondità di campo o da far scomparire alcuni elementi in ombra sottoesponendo in modo più coraggioso.
La semplicità passa attraverso il taglio
Abituiamoci a battezzare già in macchina il taglio che reputiamo migliore per quello che vogliamo ottenere, anziché dire “la taglio dopo con Photoshop”, a meno che non si tratti di una sessione fotografica destinata ad un utilizzo successivo, come ad esempio una campagna pubblicitaria o un catalogo, per i quali vige la regola opposta.
Impariamo a guardare la scena e a pensare a che tipo di taglio ne esalterebbe al massimo un approccio minimalista e quale lente meglio renderebbe quel taglio.
Non fermiamoci poi al primo taglio. Sperimentiamo un taglio più spinto, più dentro, come si dice in gergo, per poi passare ad un campo largo, se non addirittura larghissimo. Naturalmente ciò che vale per il taglio, vale per l’orientamento: non fermiamoci all’orizzontale, proviamo ad orientare la fotocamera anche in verticale, prima di passare oltre.

© Walter Meregalli – Monaco addormentato La palette ridotta rende questo scatto particolarmente evocativo
Semplicità e colore
Nell’approccio minimalista, il colore svolge un ruolo chiave e quindi ci farà molto bene ripassarne la teoria ed imparare a memoria la disposizione per lo meno dei colori principali sulla ruota cromatica.
Scegliamo aree di colore piene, ad esempio un cielo sgombro da nubi o l’intonaco di un muro.
Scartiamo relazioni cromatiche indecise, preferendo loro colori complementari, come ad esempio rosso e verde o azzurro e arancione, o colori armonici tra loro, come ad esempio rosso e arancione o viola e blu, oppure tonalità dello stesso colore.
Manteniamo la palette di colori ridotta, al massimo uno o due colori predominanti.
Evitiamo di fotografare il colore per sé, ma cerchiamo di aggiungere, quando possibile, della materia, in modo da conferire maggiore tridimensionalità allo scatto.

© Walter Meregalli Lo spazio negativo dà la giusta importanza e forza al soggetto
Lo spazio negativo, grande alleato
Si chiama negativo lo spazio che circonda il soggetto, mentre viene indicato con positivo lo spazio occupato dal soggetto.
Devo essere sincero, ogni volta che mi capita di parlare di spazio negativo vedo gli occhi di molti strabuzzare. Sembra proprio che questo concetto, mutuato dalla grafica, spaventi la maggior parte di noi, soprattutto coloro che si sono avvicinati alla fotografia da poco. In realtà lo spazio negativo fornisce un enorme contributo al risultato, perché ha il merito di concedere al soggetto quello che generalmente si chiama respiro.
Imparare a gestire lo spazio negativo garantisce una scorciatoia a scatti di qualità, soprattutto se ci stiamo cimentando con inquadrature minimaliste.
Lo spazio negativo aiuta ad isolare il soggetto, ne esalta la forma, guida l’occhio . verso ciò che conta e, qualche volta addirittura quasi paradossalmente, conferisce forza al soggetto principale.
Mi rendo conto però che qui si entra in un aspetto della fotografia piuttosto personale, perché sebbene tutti concordino sull’efficacia, ad esempio della regola dei terzi, che propone un certo sbilanciamento a favore dello spazio negativo, scegliere quanto favorire l’uno o l’altro è davvero una questione che spesso a molto a che fare col gusto personale.
Personalmente sono un grande fan dello spazio negativo e mi accorgo che qualche volta mi lascio prendere la mano e costruisco inquadrature fortemente (ma volutamente) sbilanciate in favore dello spazio negativo.
Impariamo a vederlo, impariamo ad usarlo e poi sarà il nostro gusto a dirci “buona così”.
Semplicità is a state of mind
Semplificare è principalmente un atteggiamento mentale. Se non ragioniamo con semplicità, se non ci rapportiamo con semplicità alla scena che abbiamo di fronte, difficilmente riusciremo ad ottenere risultati con la fotografia minimalista.
Addestriamo l’occhio, alleniamo la mente a vedere gli elementi della scena come semplici linee, forme, colori. Facciamo pratica nel levare, imparando a capire quando lo scatto regge ancora. Sperimentiamo con i tagli. Aggiungiamo spazio negativo. Concentriamoci sulle relazioni tra gli elementi inquadrati
E ricordiamoci: LESS IS MORE.
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