Come promesso, ecco il seguito del post dedicato a chi si avvicina (con timore) alla fotografia, e, se nel primo post mi sono occupato del minimo sindacale e di come ottenere qualche buono scatto di stelle a fuoco e ben definite, in questo post proverò ad alzare l’asticella e ha spingere noi “negati” a scattare una di quelle foto che ci lasciano a bocca aperta ogni volta… avete presente quelle foto dove il cielo è solcato da una serie ipnotica di cerchi concentrici di luce, proprio come nella foto d’apertura del post (© Diego Gardina) e come in questa qua sotto.

Strisciata di stelle nel cielo dell’Umbria
Prima di lanciarci a testa bassa nel vivo del “come si fa per…”, facciamo una premessa, in modo che sia chiaro a tutti la differenza tra STELLE PUNTIFORMI e STAR STRISCIATE, libero adattamento del più tecnico “star trailing”.
Questo è quello che si chiamo uno scatto con stelle puntiformi:

Mentre questo è uno scatto con stelle strisciate:

Star trails nel cielo del deserto del Sahara – © Diego Gardina
Naturalmente tutto quanto spiegato nel post precedente (QUI per leggerlo) riguardo a alle impostazioni degli ISO, alla scelta dell’obiettivo, del diaframma e delle modalità di scatto valgono, quello che naturalmente varia è la scelta del tempo di posa, che, per ottenere l’effetto strisciato è necessario impostare su un tempo lungo, e, quando dico lungo, intendo LUNGO (!).
E quelle scie!? Cosa sono!?
Le scie che vediamo e ammiriamo in molte foto di cieli notturni sono il risultato di una tecnica di ripresa che in inglese si chiama star trailing, ottenute grazie ad una lunga esposizione, durante la quale il sensore della nostra macchina registra il movimento apparente della volta celeste – “apparente”, appunto, perché in realtà non è la volta celeste a muoversi, ma bensì la terra, che ruota per tutta la durata dell’esposizione, attorno al proprio asse verticale. Impiegando un tempo lungo, il movimento apparente degli astri verrà riprodotto come una serie di cerchi luminosi concentrici – le scie di stelle. Naturalmente, più a lungo terremo aperto l’otturatore e più lunghe risulteranno le scie luminose nel nostro scatto. Dobbiamo ricordarci un dettaglio fondamentale: le scie di stelle cominceranno a comparire soltanto con tempi di posa superiori al tempo indicato dalla regola del 500, che ho descritto nel primo post dedicato alla night photography – clicca QUI per la regola e per il post. Portiamoci una bussola o usiamo un app per cercare la Stella Polare, nell’emisfero boreale, o la Croce del Sud, sua corrispondente nell’emisfero australe. Puntando ad una di queste due stelle, potremo comporre l’inquadratura sfruttando un centro attorno al quale i cerchi delle scie risulteranno concentrici.
Due modi per ottenere le “scie di stelle” (“star trails”)
Ci sono due modi per ottenere quelle ipnotiche scie luminose nel cielo:
con uno scatto singolo
o montando scatti ripresi in successione della stessa inquadratura (stacking)
Con uno scatto singolo Il vantaggio più evidente, ma forse anche il solo davvero apprezzabile, è che non serve nessun nessun software di post-produzione, per cui l’immagine è immediatamente disponibile; mentre lo svantaggio più fastidioso è legato al surriscaldamento al quale sottoponiamo il sensore, costretto a lavorare per molto tempo, con il risultato di introdurre ulteriore disturbo nell’immagine finale. Per ottenere le scie di stelle con uno scatto singolo dobbiamo cominciare a metterci nell’ordine di idee che dovremo scattare con tempi di posa piuttosto lunghi e ricordare che più lungo sarà il tempo scelto e più lunghe e complete risulteranno le scie luminose nello scatto finale. Ma come facciamo a superare il limite del tempo di posa di 30″? Impostando la macchina sul tempo B (bulb). Scattando in questa particolare modalità, assumiamo il pieno controllo dell’otturatore, comandandone fisicamente l’apertura e la chiusura dello stesso – ed ecco perché uno scatto remoto dotato di tasto di blocco può tornarci molto utile. Per scattare con il tempo B impostato non serve un master, basta premere a fondo il tasto dello scatto remoto, che aprirà così l’otturatore, dando inizio all’esposizione, tenerlo bloccato per tutto il tempo di posa, attraverso il tasto di blocco o semplicemente col dito, e rilasciarlo a fine esposizione – per il cui calcolo sarà necessario che si aiuti con un cronometro o un timer. Già immagino le facce… niente paura! Procediamo con calma, con la macchina assicurata sul cavalletto e non lasciamo campo all’ansia. Copriamo il mirino per evitare che entri luce durante l’esposizione – i modelli di fascia medio-alta montano un dispositivo meccanico per farlo, altrimenti ci si può arrangiare con un cartoncino nero e un po’ di scotch. Spegniamo tutti gli automatismi, inutili in questo caso, come autofocus e sistemi per la riduzione delle vibrazioni, che minano la durata delle batterie. Ma soprattutto, disinseriamo la funzione di riduzione del rumore sulle lunghe esposizioni – se offerto dal nostro modello di macchina – perché questa funzione interviene sullo scatto e lo riprocessa, al fine di attenuare il rumore, non appena l’otturatore termina l’esposizione. Operazione apprezzabile, che però allunga il tempo che siamo costretti ad attendere prima che la nostra macchina torni nuovamente disponibile a scattare ancora di un tempo pari a quello di posa – per cui, un’esposizione di 20′ richiederà 40′ di tempo di lavoro, 20 di scatto e 20 di ritocco (!), pensiamo ora ad esposizioni anche più lunghe e pensiamo ora se volessimo scattare di nuovo, perché non soddisfatti (!!!).
A questo punto, assicuriamo la macchina al cavalletto, componiamo con cura, iniziamo l’esposizione e attendiamo pazientemente.
Montando più scatti (stacking) Onestamente questa è la tecnica migliore per ottenere le scie di stelle, sia perché evita che il sensore si surriscaldi, sia perché il calcolo dell’esposizione è più agevole. Lo stacking consiste sello scattare una serie di scatti successivi, separati da un intervallo minimo (as esempio 1 secondo) e poi montarli uno sull’altro (to stack in inglese), attraverso software dedicati (StarStax, ad esempio, è ottimo ed è gratuito, sia per PC, sia per Mac) o impiegando alcune azioni di Photoshop o Lightroom (ahimè, devo ammettere che per quello che riguarda LR, vanto una vergognosa e crassa ignoranza). Per impiegare la tecnica dello stacking è necessario automatizzare gli scatti, intervallandoli con precisione e separandoli di pochissimo – ad esempio, 1″ tra uno scatto e il successivo garantisce un buon risultato, sempre che lo specchio della nostra macchina sia sufficientemente rapido nel compiere il movimento che lo riporta in posizione di partenza, ancora una volta ci tocca fare qualche prova e nel caso la nostra fotocamera mostrasse il fianco, aumentiamo leggermente la pausa tra uno scatto e l’altro. Alcune fotocamere offrono la funzione di scatti intervallati, cerchiamola nei menù avanzati, se così non fosse, siamo costretti ad investire in uno scatto remoto con intervallometro. Nessuna paura, ce ne sono per tutte le tasche, originali o universali, superfighi e dotati di display o più spartani, la cosa fondamentale è che offrano la possibilità di impostare il numero desiderato di scatti, la durata di ognuno e l’intervallo tra uno scatto e l’altro.
Per questa volta JPEG. Ancora una volta JPEG e RAW disegnano un’ipotetica linea di confine. Io, sebbene fanatico crociato del santo RAW, questa volta lo abbandono per il più leggero e maneggevole JPEG. Per ciò, faccio qualche scatto di prova per trovare il bilanciamento del bianco che mi soddisfi, perché successivamente non potrò, nella maggior parte dei casi, andare a modificarlo. I puristi scelgano pure la via del Raw, li stimo. Personalmente non ho nessuna intenzione di trovarmi poi a dover processare qualche centinaia di immagini RAW da poco meno di 100 MB l’una. Per cui JPEG tout la vie! Ma se passando in JPGEG guadagno in leggerezza – che significa anche più scatti memorizzabili sulla mia card, il formato purtroppo mi penalizza in termini di flessibilità, tipica del nemico RAW, ed ecco perché scelgo con cura il bilanciamento del bianco, perché poi difficilmente riuscirò a modificarlo. Quale bianco? Io si solito imposto un valore che sta tra i 3000 e i 5000 Kelvin – che, per i modelli di camera più economici significa un’impostazione tra il preset “incandescenza” e quello “sole pieno”. E voilà!
Comporre ed esporre con cura Con la macchina impostata su B (tempo b, o bulb), colleghiamo lo scatto remoto e impostiamoo 30 secondi di esposizione. Attenzione! Quasi tutti i modelli di fotocamera, una volta collegato uno scatto remoto, ci impongono di impostare il tempo B, anche se il tempo scelto (30″) è ancora nel range dei tempi di posa normali. A questo punto, componiamo con cura, magari impiegando una piccola torcia per prendere il fuoco e puntando alla Stella Polare, se ci troviamo nell’emisfero boreale, o alla Croce del Sud, nel caso ci trovassimo nell’emisfero opposto. Aiutiamoci con una bussola o con una delle numerosissime app per individuare le due stelle nella volta celeste, puntiamo a nord per la Polare e a sud per la Croce. Bene! Ora dedichiamoci all’esposizione. Cerchiamo di sfruttare tutta la poca luce a disposizione, aprendo il diaframma al massimo. A questo punto, impostato tempo e scelto il diaframma, non resta che arrivare all’esposizione desiderata aumentando o diminuendo la sensibilità attraverso gli ISO.
3, 2, 1… Play! Una volta soddisfatti della composizione e dell’esposizione, dobbiamo decidere il numero di foto che vogliamo scattare e impostare o il relativo parametro sullo scatto remoto, poi non ci resta che decide l’intervallo tra uno scatto e il successivo. Impostiamolo al minimo, perché si tradurrà in scie più continue. Personalmente scelgo 1 secondo di intervallo, ma non tutte i modelli montano uno specchio così rapido nel tornare in posizione di partenza – ricordiamoci che ad ogni esposizione le specchio che sta davanti all’otturatore deve salire, rimanere alzato per tutto il tempo, per poi ritornare giù, pronto per un nuovo scatto. Qualche modello monta specchi che richiedono più di un secondo di pausa tra una foto e l’altra. Anche per questo facciamo qualche prova a casa – non di notte, all’aperto. Individuato il minimo intervallo tra gli scatti, diamo il via alla sequenza attraverso il comando presente sullo scatto remoto – ATTENZIONE: solitamente gli scatti remoti che consentono fotografie intervallate hanno due tasti per dare inizio all’esposizione: un pulsante piuttosto grosso ed uno più piccolo che spesso è contrassegnato dall’icona “Play” – un triangolino, proprio come nei media player. Il primo serve per gli scatti singoli, il secondo (play) per dare inizio alle sequenze di scatto, utilizzando i parametri che abbiamo impostato. Per cui: USIAMO QUESTO, QUELLO CON IL SIMBOLO DEL “PLAY“! ALTRA COSA IMPORTANTISSIMA! Accertiamoci di aver disinserito la funzione di riduzione del rumore sulle lunghe esposizioni. Dimenticarla inserita, renderebbe praticamente impossibile scattare una serie di foto separate da pochi secondi soltanto, dal momento che la fotocamera, secondo più, secondo meno, usa un tempo pari al tempo di posa per intervenire sui pixel del nostro file RAW e ridurre il rumore. La funzione è molto utile, ma praticamente raddoppia il tempo durante il quale la nostra macchina è impegnata, per cui lo scatto remoto ordinerebbe lo scatto successivo mentre la nostra reflex è “in altre faccende affaccendata” e addio sequenza ad intervalli regolari.
Quanti scatti dobbiamo fare? Vale la regola del “casellante, quanti ne passano? – parecchi” e cioè che, per ottenere scie consistenti, dobbiamo scattare MOLTE foto in sequenze. Già, ma quante? Ecco qualche numero… Mantenendo i 30″ di esposizione 30″ per ogni scatto, 240 scatti originano una sessione di 124 minuti (120 minuti, più 239 secondi di buco tra uno scatto e l’altro), che potrebbero anche sembrare davvero tanti e molti di noi, magari, 240 scatti, li fanno in un’intera vacanza (!), ma, nelle due ore durante le quali la fotocamera immortala il cielo, le 240 foto, registrano scie con un’ampiezza di circa 30° – e quelle più prossime alla Stella Polare si traducono in piccoli trattini. Questo, però, almeno ci dà un punto dal quale partire, dopo di che è soltanto questione di aritmetica, pazienza, batterie e spazio a disposizione sulla card. Ah ah ah!
Ma cosa gira e come facciamo ad ottenere le strisce? Non sono le stelle a girare, come potrebbe inizialmente sembrare, ma noi. Infatti, per tutta la durata della sequenza di scatti la Terra prosegue nella sua rotazione sull’asse verticale e ad ogni scatto la nostra fotocamera registra una tappa del percorso apparente delle varie stelle. Una volta a casa, dobbiamo processare gli scatti con un software dedicato o attraverso alcune azioni di Photoshop. Io consiglio StarStax, un software shareware sia per windows, sia per mac, semplice da usare e molto performante. Per ottenere lo scatto finale, basta indicare gli scatti da processare e caricarli secondo l’ordine corretto nell’apposita finestra, dare l’ok a procedere e attendere. Il tempo di elaborazione è legato alla pesantezza dei file e al loro numero. StarStax offre una manciata di metodi di fusione dei vari scatti, oltre a qualche altro parametro di impostazione generale. Al termine dell’elaborazione, l’applicazione mostra l’immagine finale (un JPEG), che possiamo salvare dove preferiamo, rinominandola senza problemi.
Repetita juvant. Ripassiamo con cura le funzioni della nostra macchina, come inserire e disinserirle, la posizione dei comandi, operare al buio non è cosa da improvvisare. Portiamoci una torcia e prepariamoci al fatto che potrebbe davvero volerci gran parte della notte, per cui, vestiamoci di conseguenza e non sottovalutiamo mai le eventuali insidie ambientali, quali freddo o terreni accidentati. Portiamoci qualcosa da sgranocchiare e del buon caffè forte. Evitiamo di uscire da soli o per lo meno lasciamo un’indicazione a qualche amico o conoscente circa la nostra meta. Sul web si trovano decine di app per smartphone e tablet, più o meno sofisticate, in grado di guidarci nella volta celeste. Una volta partita la sequenza di scatti, NON spostiamo la macchina, evitiamo di toccarla e cerchiamo di stare lontani con lampade, display illuminati, torce e simili. Dopo di che… godiamocela!
Altro sulla fotografia notturna…
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