
Ami Vitale – “Showing the reality of the world”
Qualche anno fa, bloccati in casa da una nevicata che entrò poi nella storia della meteorologia recente, conversavo di grafica e fotografia con un’amica art director e mentre lei dava un occhio a qualche mio scatto di viaggio, Sabrina mi ha guardato e mi ha confidato che le mie foto le ricordavano quelle di Ami Vitale. Al che io ho candidamente ammesso di non conoscerla e, quando la mia amica art director mi ha mostrato alcuni scatti della Vitale, pur riconoscendo qualche tratto comune, mi sono sentito in totale imbarazzo, per quel paragone assolutamente gratuito, ma anche molto lusingato, perché i lavori della fotografa americana sono tutti dei piccoli, grandi capolavori.
Molto più che belle foto. Così ha commentato il National Geografic a proposito dei lavori di Ami Vitale che, soprattutto attraverso i ritratti, sanno penetrare e cogliere la dimensione più intima del comportamento umano, restituendola ricca di grande poesia visiva. Ambasciatrice Nikon e fotografa per National Geographic, negli anni la Vitale ha viaggiato in oltre 90 paesi, documentando gli aspetti più sconosciuti e reconditi di culture lontane, i riti ancestrali, la spiritualità, il lavoro dei campi, la vita comune, ma anche le atrocità della guerra, la povertà e il dolore delle popolazioni, vittime dei conflitti. Le storie fotografiche di Ami sono un esempio di tecnica, cuore e consapevolezza. Ami Vitale, classe 1971, è una story teller dal talento unico e inequivocabile, fresco,

Ami Vitale – I bagni di Budapest

Ami Vitale – Donna musulmana nel suo negozio di Srinagar
Vivere la storia. La fotografa del Montana ne ha fatto un credo personale e un approccio professionale unico, che l’ha portata a vivere per lunghi periodi in capanne di sterco e fango, a contrarre la malaria, a vivere in precarie condizione igieniche e a rischiare la vita più volte, per raccontare la follia atroce delle guerre più o meno dimentica. Perché oer Ami, fotografare significa vivere ciò che si fotografa. “È soltanto vivendo la storia che riesco a raccontarla davvero.” – ama ripetere.
Nel 2009, il reportage sulla restituzione alla savana di uno degli ultimi esemplari di rinoceronte bianco l’ha segnata profondamente, tanto che Ami ha cominciato a spostare la sua attenzione professionale sulla natura e sull’ambiente, documentando autorevolmente e con immensa suggestione sia gli aspetti più sognanti, sia le complicate criticità tra uomo e ambiente.
La Vitale è anche molto impegnata sul fronte sociale, soprattuto da quando ha raccolto la sfida di Ripple Effect Images, un’associazione tutta al femminile che riunisce scrittrici, fotografe, registe, produttrici, ma anche scienziate e ricercatrici, unite nello scopo comune fare luce sui disagi delle donne nei paesi in via di sviluppo e nelle aree più povere del mondo. L’impegno di Ripple Effect Images, naturalmente, non si ferma a mostre, pubblicazioni e convegni, ma offre progetti concreti per aiutare le popolazioni femminili in difficoltà in loco.

Ami Vitale – India rurale
“Inizialmente la fotografia era il mio passaporto per incontrare la gente ed entrare in contatto con nuove culture.” – dice Ami Vitale – “Ora è molto più di un passaporto. È uno strumento per creare consapevolezza e comprensione attraverso le diverse comunità, religioni, nazioni e razze. Uno strumento per avvicinare e condividere le esperienze, per fare del mondo una vera comunità globale.“
Il digitale, Subita e la bulimia fotografica Voglio chiudere questo post dedicato ad Ami Vitale, che personalmente considero straordinaria, con un aneddoto che lei stessa cita in più di un’intervista.
“Durante un photo tour, ho passato qualche giorno con Subita e la sua famiglia. Non c’era mai un momento della giornata in cui fossimo da soli. Dall’alba a notte fonda, c’era sempre almeno una mezza dozzina di persone che guardava la piccola Sumita soltanto attraverso l’obiettivo della macchina, senza nemmeno rendersi conto che ci fossi anch’io.
Le poche volte che mi rivolgevano la parola era per chiedermi qualche sciocchezza tecnica, come ad esempio quanti ISO usare per quella luce scarsa. Un giorno Subita mi ha confidato quanto fosse umiliante per lei il modo di comportarsi di tutti quei fotografi. La facevano sentire un animale, mi disse, non una persona umana. Nessuno che facesse mai lo sforzo di salutarla. Erano tutti lì soltanto per una cosa; quello che consideravano un buono scatto. Era una caccia e Sumita era la preda, il premio.
Fotografi maleducati e bulimici, figli del digitale. Ai tempi della pellicola nessuno si sarebbe potuto permettere così tanti scatti e i fotografi imparavano ad approcciare le persone con calma, La pellicola ci insegnava molto: a scattare poco, a pensare, a instaurare rapporti, a costruire le storie con calma, prima ancora del click, che andava centellinato.
Se anche soltanto uno di quei fotografi che assediava Subita si fosse preso la briga di passare qualche ora con lei, cercando di conoscere qualcosa di più della sua vita, avrebbe avuto una storia e non soltanto una fotografia. Ovviamente il digitale ha portato innumerevoli vantaggi. Ma se chiunque può scattare una foto, soltanto un buon storyteller può essere un buon fotografo.”

Ami Vitale
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