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I maestri della fotografia: Henri Cartier-Bresson

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Devo ammettere che ci ho pensato a lungo… lascia perdere, mi dicevo, non ha senso affrontare Henri Cartier-Bresson, non ha senso pensare di poter condensare il suo genio, il suo talento e il suo apporto nei confronti della fotografia in un post. Vero! Verissimo! Poi mi sono detto che bastava non averne la velleità – e infatti non ho certo la presunzione di sintetizzare un grande tra i grandi  in qualche paragrafo, ma posso provare a parlarne, senza pretese, con leggerezza, sperando che questo post, in qualche modo possa solleticare l’interesse di chi ancora non conosce”. E per farlo, userò (e abuserò) di citazioni e dichiarazioni dell’artista stesso.

“Va. Corre. Cerca. Che cosa cerca? (…) cerca quel qualcosa che ci permette di definire la modernità. È il transitorio, il fugace, i contingente, una metà dell’arte, la cui altra metà è costituita dall’eterno, dall’immutabile.” Con queste parole Baudelaire descriveva il pittore moderno, ma era una descrizione decisamente premonitrice e che, come forse nessuna altra, sintetizza il genio di Henri Cartier-Bresson.

Nessuno meglio di se stesso, però, ci aiuta a capire la grandezza del talento del fotografo francese.

“La macchina fotografica è per me un blocco di schizzi, lo strumento dell’intuito e della spontaneità, il detentore dell’attimo che (…) interroga e decide allo stesso tempo.” In queste parole, Cartier-Bresson mette perfettamente a fuoco quello che è il fil rouge  di tutto il suo lavoro:  l’immaginario che prende spunto del vero, l’attimo reale, fuggente e contingente che si dilata e assoluto.

Il momento decisivo, fugace ed eterno, grazie alla fotografia

Il momento decisivo, fugace ed eterno, grazie alla fotografia


Nato a in Francia, a Cantaloupe nel 1908, Henri Cartier-Bresson è considerato, e a ragione, il padre del fotogiornalismo, guadagnandosi da parte di molti l’appellativo di “Occhio del secolo”, ha contribuito come nessun altro fotografo al successo del di un genere fotografico con una fortissima componente surrealista, che Cartier-Bresson mutua dagli esuberanti ambienti artistici della Parigi degli Anni Venti.

Se le amicizie con i pittori Paul Cézanne e André Lothe lo iniziano ai canoni dell’impressionismo e del cubismo, è  la frequentazione degli ambienti surrealisti  che forma quello che poi diventare l’approccio creativo alla fotografia di Henri Cartier-Bresson.

Le immagini di HCB pare fluttuino sempre leggère su quel sottile confine tra realtà e immaginazione, anche gli scatti che apparentemente sembrano avere derive più descrittive e più didascaliche, conservano invece, se osserviamo con maggiore attenzione, una dimensione onirica, sospesa.

“Le sue fotografie, prima di essere la cattura della luce tramite grani d’argento, sono una metafora ottica, la dimostrazione che l’obiettivo fotografico in mano a un poeta può elevarsi sulle oscurità più profonde del reale.”  Così ha brillantemente stigmatizzato il talento di HCB il famoso storico dell’arte e curatore Jean Clair, in una prefazione ad una monografia del fotografo francese.

Ma è forse in una delle numerose interviste che lo stesso fotografo riesce a focalizzare in modo esemplare il suo lavoro e il suo personalissimo approccio alla fotografia:

“Per significare il mondo bisogna sentirsi coinvolti in ciò che si inquadra nel mirino. Questo atteggiamento esige concentrazione, sensibilità e senso geometrico.”

Gli scatti di Cartier-Bresson sono sempre piccoli grandi scorci di sogno. Ogni scatto è una piccola grande lezione di sensibilità, composizione, tecnica, ma anche leggerezza di chi sa di poter piegare le regole perché dotato di un talento assoluto.

Nella seconda parte della sua lunga carriera Henri Cartier-Bresson abbandona un po’ le derive surrealiste per dedicarsi maggiormente al fotogiornalismo e viaggiare in lungo e in largo per coprire eventi di portata mondiale, come ad esempio i funerali del mahatma Ghandi. Soltanto negli ultimi anni, l’ormai sessantenne Henri Cartier-Bresson torna all’amore di gioventù e torna a proporre scatti permeati dall’inconfondibile componente onirica, tanto cara negli anni del surrealismo.

Assieme a Robert Capa, David Seymour, George Rodger e William Vandivert, nel 1947, fonda la Magnum Photos, che resta tutt’ora  una delle più prestigiose agenzie fotografiche al mondo e non solo per i nomi dei fondatori o per i prestigiosi fotografi rappresentati, ma soprattutto per il rivoluzionario approccio al mercato e alla grandissima attenzione per  tutte le diverse sfumature della professione. Per la prima volta, la Magnum Photos sfilava l’egemonia della produzione alle riviste e la consegnava ai suoi fotografi, che di fatto diventavano i referenti principali sia per il ciclo produttivo, sia per il processo creativo,  liberi di proporre ed eseguire le proprie scelte. Questa importante presa di posizione è stata resa possibile anche grazie un  rivoluzionario approccio al diritto d’autore. Da subito, infatti, la Magun Photos prevedeva che il diritto delle immagini scattate restasse, per contratto, di proprietà del fotografo e non del committente, consegnando de facto al fotografo la possibilità di intervenire in modo pertinente e completo nella scelta delle immagini e di influenzare così anche le scelte editoriali

Certo, direte, non si tratta di tecnica, non si tratta di composizione, ma anche in queste sfumature si possono leggere il talento e soprattutto lo spessore del grande fotografo francese

Un giovane HCB

Un giovane HCB


Chiudo con quella che forse è la frase più famosa di Henri Cartier-Bresson.

“(fotografare) È porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore. È un modo di vivere.” 

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