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I maestri della fotografia: Robert Capa

Per oltre vent’anni, dove c’era un conflitto, c’erano Robert Capa e la Leica, fino a quel fatico giorno di metà maggio del 1954, non lontano da Hanoi, in Vietnam, dove Capa, per testimoniare l’ennesima battaglia, sale su un terrapieno e poggia il piede sulla mina che lo uccide.

Classe 1913, Robert Capa – al secolo Endre Ernö Friedmann – cerca caparbiamente di assicurarsi un destino migliore, nell’Ungheria al gioco della dittatura di estrema destra. Nei primi Anni Trenta, Capa, ripara a Berlino, da dove è costretto a fuggire a causa dell’avvento del nazismo. Gli anni della gioventù segnano il suo carattere e la sua ferma voglia di documentare la realtà drammatica delle guerre. Si rifugia a Parigi e successivamente, allo scoppiare della guerra civile, nel ’36, Capa, si trasferisce in Spagna per testimoniare dal fronte il conflitto tra l’esercito franchista, appoggiato dai nazisti e dall’esercito fascista italiane e le milizie repubblicane.

Un solo impegno per Robert Capa: documentare

Già dalle prime testimonianze fotografiche del conflitto spagnolo emerge chiarissimo lo stile di Robert Capa: i suoi scatti sono terribilmente ravvicinati e, per la prima volta, raccontano una guerra direttamente dal punto di vista di chi la combatte. Robert Capa inventa letteralmente il ruolo del reporter di guerra – quello che oggi chiamerebbero un embedded photographer, cioè un fotoreporter che prende parte alle operazioni belliche con le stesse truppe.

Per meglio documentare gli orrori della guerra, Capa, non si risparmia in nessun modo e arriva a farsi paracadutare in prima linea o a sbarcare con le truppe sulle spiagge della Normandia, durante lo sbarco del giugno del ’44.

Documentare la ferocia e l’assurdità della guerra diventano la sua missione, che il fotografo ungherese onorerà fino all’ultimo suo scatto in Vietnam, nel 1954.

Attraverso la guerra civile spagnola, il secondo conflitto mondiale, la guerra arabo-israeliana e la prima guerra d’Indocina, Robert Capa per oltre vent’anni ha raccontato la sofferenza, il dolore, la paura e l’assurdità della guerra.

Se non e’ venuta bene, significa che non eri abbastanza vicino.

Tutta la filosofia di Robert Capa è racchiusa in queste parole: “se non è venuta bene (la foto), significa che non eri abbastanza vicino” e, fedele al suo motto, Capa, documenta con un’onestà disarmante i vari conflitti che infiammano nel mondo, dal 1936 al 1954.

Robert Capa - Pastore

© Robert Capa Un pastore siciliano indica la via che hanno preso i tedeschi in fuga. Una delle immagini più care a Capa che ci vedeva l’incontro di due mondi distanti e la volontà di entrambi di mettere fine alla guerra


Alcuni dei suoi scatti diventano immediatamente icone del fotogiornalismo di guerra. Il miliziano repubblicano colpito a morte durante la guerra civile spagnola, che Robert Capa immortala da pochi passi. I marine americani immersi nelle acque della Manica a Omaha Beach, durante lo sbarco di Normandia il 6 giugno del ’44. Lo scatto è mosso e fuori fuoco, ma sono proprio queste imperfezioni tecniche a trasmettere tutto il senso di pericolo e di precarietà di quel momento, che Robert Capa vive lui stesso in prima persona, sbarcando al fianco dei militari alleati, sotto il fuoco di sbarramento tedesco. Il pastore siciliano che, con il suo bastone, indica ad un soldato alleato la via di fuga che hanno preso i tedeschi.

Robert Capa - DDay

© Robert Capa Lo sbarco in Normandia nel giugno del 1944. Fuori fuoco e mossa, questa foto trasmette tutta la pericolosità del momento.


Uno stile crudo e penetrante, sorretto da un linguaggio fotografico diretto, istantaneo, sporco, un linguaggio scevro di fronzoli e capace di arrivare direttamente e inequivocabilmente al punto. Nell’arco della sua carriera, il lascito iconografico del grande fotoreporter ungherese conta migliaia di fotografie, toccanti, drammatiche, dove ognuna racconta in modo sublime di militari e civili, vittime dell’aberrante furia omicida della guerra. La sua Leica racconta senza filtri. Osservando i suoi scatti si è catapultati in prima linea, si sentono quasi fischiare le pallottole, e la retorica della narrazione non è mai né troppo ingombrante, né tantomeno fuorviante.

soldato che muore - robert capa

© Robert Capa Senza dubbio lo scatto di Capa più famoso, “il soldato repubblicano che muore”, durante la guerra civile spagnola. La crudezza dello scatto, che immortala il momento in cui il miliziano repubblicano viene colpito a morte, trasmette tutta la brutalità della guerra. Mai, prima di questo scatto, un fotografo era riuscito a documentare la morte in battaglia in un modo così tragicamente reale.


Robert Capa ne ha fatto una personalissima missione: raccontare la guerra e i suoi orrori, e ci riesce perfettamente, al di là delle polemiche

“Il suo modo di scattare non è denuncia, non è indignazione, non è scelta d’arte, ma è tutte e tre queste cose insieme.” Roberto Saviano, scrittore

La polemica sul “Miliziano che muore”

Poteva forse mancare la polemica sullo scatto più famoso di Capa, “Il miliziano che muore”!? Certo che no! Da un canto chi difende l’autenticità dello scatto e dall’altro chi, invece, afferma che si tratti di un falso molto ben architettato dallo stesso Capa. La foto, scattata durante la battaglia Cerro Muriano, nel 1936, venne censurata fino alla morte di Francisco Franco, avvenuta nel 1975. Con la sua pubblicazione in Spagna, lo scatto diventò il simbolo dell’antifascismo e del ripudio della guerra. Naturalmente molti cercarono di identificare il miliziano colpito a morte e ritratto nella fotografia di Capa e ben presto, attorno alla veridicità dello scatto, montò la polemica. Riconosciuto il miliziano, non fu mai ritrovato il suo certificato di morte – vero però che durante la guerra civile venissero censiti soltanto i morti di una parte. Addirittura qualcuno dichiarò che il soldato che moriva, in realtà, dopo la guerra era tornato al paese e si era pure sposato. Come nella migliore tradizione le fazioni pro e contro si sono date battaglia a lungo. Personalmente voglio credere nell’autenticità dello scatto e in ogni caso, qualunque sia la verità, non toglie nulla alla storia raccontata dalla fotografia più famosa, e non a caso, di Robert Capa.

Robert Capa, un uomo poliedrico

Se il corpus di Capa fotografo è, passatemi il termine, decisamente monolitico (se non addirittura monotematico), la guerra e la sofferenza che questa porta con sé, la sua dimensione personale è tutt’altro che caratterizzata da un unico aspetto.

Capa, infatti,  dimostra una certa dimestichezza con la scrittura e spesso accompagna i suoi immortali reportage di guerra con diari nei quali riesce a completare la sua dimensione di narratore. Nella Parigi degli Anni Trenta s’accompagna ad artisti del calibro di Ernest Hemingway e Pablo Picasso, con i quali condivide una marcata passione per le donne, per il poker e per le scommesse.

Robert Capa, Henri Cartier-Bresson e David Seymour: nasce la Magnum

Gli scatti dal fronte gli fruttano una fama indiscussa e, nel 1947, con Cartier-Bresson e Seymour, Robert Capa dà vita a quella che tutt’ora, a settant’anni dalla sua nascita, è una delle agenzie fotografiche più importanti del mondo, la Magnum. Ben presto, la Magnum, riunisce sotto la sua procura la crema della fotografia internazionale, caratterizzata, oltre che dall’indiscutibile talento, dalla libertà d’opinione e dall’impegno civile e sociale.

Robert Capa oltre “Robert Capa”

Guerra e sofferenza hanno rappresentato il focus del lavoro di Capa, ma pochi forse sono a conoscenza di “Capa in Colors”, una serie di fotografie – appunto a colori – molto diverse, dove il fotografo ungherese si cimenta con il colore e con un genere fotografico a lui pressoché sconosciuto.

capucine - robert capa

© Robert Capa Ritratto a colori dell’attrice francese Capucine


Nel 1938, Robert Capa si fa spedire da un amico 12 rullini Kodachrome e le istruzioni su come usarli, fu così che Capa si avvicinò al colore – anche se a dire il vero durante tutta la Seconda Guerra Mondiale, Capa, si portò dietro sempre due macchine, di cui una caricata a colori.

Robert Capa a colori è un Robert Capa insolito, più vicino alla street photography, più attento a cogliere aspetti di costume della vita quotidiana e a ritrarre alcune delle sue frequentazioni mondane, come ad esempio Truman Capote o l’attrice francese Capucine, spesso in atteggiamenti e situazioni normali.

Nonostante i suoi scatti in bianco e nero incarnino ciò che ognuno di noi associa a Robert Capa, personalmente ritengo che la serie “Capa in Colors” sia assolutamente memorabile.

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  1. Henri Cartier-Bresson

  2. Don McCullin

 

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