Sono contento, e al tempo stesso un po’ spaventato, dall’enorme successo di pubblico e mediatico che sta avendo Vivian Maier e la sua fotografia.
Nata a New York nel febbraio del 1926 e scomparsa nel 2009, Vivian Maier, fino a soltanto qualche anno fa sconosciuta al grande pubblico, offre un lavoro di grandissima qualità, che abbraccia circa 30 anni, dai primi anni Cinquanta, fino agli ultimi scatti degli anni Settanta, e racconta come hanno saputo fare pochi la vita di New York e Chicago di quel periodo.

© Vivian Maier – La visione di Vivian Maier riesce a combinare una composizione rigorosa e per nulla casuale con una grande spontaneità e un senso di leggerezza
Il segreto del successo di Vivian Maier
Leggo che il successo di questa fotografa è in parte dovuto al mistero che avvolge la sua vita e all’eccentrica combinazione tra il lavoro di bambinaia e la passione per la fotografia.
Personalmente credo invece che il suo successo sia tutto nelle sue fotografie, spesso ruvide, ma sempre molto evocative, mai banali, mai scontate.
Vivian Maier scattò gran parte del suo lavoro a Chicago e a New York, lungo le strade dei quartieri che frequentava e che evidentemente conosceva molto bene.
Sono convinto che molto dell’appeal che conservano i suoi scatti deriva dalla profonda conoscenza del mondo che immortalava.
Vivian Maier: un monito per gli street photographer
Chiunque fotografi, chiunque si diletti di street photography, chiunque ami la fotografia deve fare i conti con il lavoro di questa donna che, per sua stessa ammissione, non ha mai pensato di diventare una fotografa e che per molti anni, al grande pubblico, è rimasta una grande sconosciuta, ma che la spinta mediatica degli ultimi anni e il successo di pubblico delle sue mostre hanno giustamente consegnato ad una dimensione che più le si addice.

© Vivian Maier – La sua professione di bambinaia la portava a passare molto tempo per le strade del Bronx e questo ha permesso a Vivian Maier di imparare a conoscere profondamente il mondo urbano che fotografava, aggiungendo spessore e qualità alla sua fotografia, mai banale, sempre molto evocativa
La consacrazione di Vivian
Giusto quattro anni fa, Milano, per la prima volta, ospitava una personale dedicata alla strampalata fotografa/bambinaia.
Era il gennaio del 2016 e il pubblico, mosso da chissà quali dinamiche inspiegabili, si è riversato nelle piccole sale dello Spazio Forma di Galleria Meravigli per rendere il giusto omaggio a Vivian Maier.
Dal 2016 le mostre dedicate alla Maier si sono susseguite in tutta Italia, replicate e, come spesso accade, hanno anche rischiato di inflazionare il rapido successo che hanno saputo creare.
Andando allo Spazio Forma, nel gennaio di quattro anni fa, mi fu subito evidente che molti dei visitatori non sapessero nulla di lei o addirittura che si trovassero lì perché a quella mostra ci andavano un po’ tutti.
Poco importa e ancora meno mi interessa.
Se questo ha contribuito finalmente a consacrare una fotografa il cui lavoro brilla per qualità e carico emotivo. Ricordo di essere uscito dalla mostra contento ed appagato.
Spero soltanto che i molti che si sono avvicendati in questi quattro anni per vedere gli scatti della Maier, colti da una folgorazione fin troppo repentina, se non superficiale, non escano domani e comincino a scattare in strada a caso, pensando di fare street photography.
Dò loro una cattiva notizia: NON FUNZIONA COSÌ!
Purtroppo, il rischio c’è, perché è molto sottile la differenza tra gli scatti d’autore di Vivian Maier e gli scatti casuali di molti di noi.

© Vivian Maier – In molti scatti di Vivian Maier si ritrova una dimensione quasi onirica, che la fotografa creava utilizzando spesso il suo suo stesso riflesso come cornice per enfatizzare i soggetti ritratti, quasi a sottolineare l’urgenza e la volontà di raccontare storie che, in realtà, esistevano soltanto grazie ad altre, in grado di contenerlo o farle esprimere.
Il lato oscuro della Maier
Forse soltanto i lavori di Diane Arbus, per altro pressoché contemporanea della Maier, anch’essa newyorkese e anch’essa approdata alla fotografia quasi per caso, conservano un lato oscuro e misterioso quanto molti degli scatti di Vivian Maier.
Per tutta la sua produzione, la bambinaia/fotografa del Bronx è sembrata essere magneticamente attratta dall’uso del riflesso, quasi sempre il suo, e molti scatti giocano a creare storie dal profondo carattere onirico e intimo, impiegando riflessi, trasparenze e sovrapposizioni, per creare un linguaggio personalissimo capace di esprimere una sorta storie dentro altre storie, mondi inclusi o intrappolati, forse anche sintomo di un certo disagio psicologico e di una qualche forma di personalità complessa e non completamente adattata.
Nulla è lasciato al caso nella fotografia di Vivian Maier
Se la Maier deve il suo successo postumo al caso, che ha fatto sì che il suo lavoro venisse ritrovato abbandonato in alcuni scatoloni dentro ad un garage del Bronx, nulla nelle fotografie di Vivian Maier è casuale.
Tutto racconta. Ogni elemento incluso nell’inquadratura ha un suo peso specifico narrante ed interagisce in modo raffinato e per nulla scontato con gli altri elementi presenti, svelando una visione fotografica squisita ed un intento chiaro, oltre ad una capacità narrativa ficcante.
Le foto di Vivian Maier sono un racconto breve, uno spaccato di vita delle periferie della Grande Mela tra gli Anni ’50 e gli Anni ’70. Ogni scatto vibra, è raro incappare in qualcosa di banale o di scontato nella produzione della fotografa americana.
Vivian Maier conosceva profondamente le strade che fotografava, le viveva, ci lavorava. Questo dovrebbe aiutarci ancora di più: non si può fare street photography senza essere locali.
Se voleste conoscere meglio il lavoro di Vivian Maier, ecco alcuni titoli che vale la pena avere:

Vivia Maier, una fotografa ritrovata Edizioni Contrasto – Copertina rigida, 285 pagine (Catalogo della mostra di Milano, 2015/2016) € 37,05

Vivian Maier – Street photographer Edizioni Powerhouse Books – Copertina rigida, 123 pagine € 30,57

Edizioni Contrasto – Copertina rigida, 240 pagina € 41,65 Rispetto ai due volumi precedenti, questa monografia raccoglie un corpus di scatti più particolare rispetto al lavoro tradizionale della fotografa americana.
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