Se a bruciapelo vi chiedessi qual è secondo voi l’aspetto fondamentale per scattare fotografia di buona qualità, cosa mi rispondereste?
Qualcuno di voi, probabilmente, risponderebbe la tecnica. Corretto. Altri, forse, direbbero una composizione curata. Corretto, anche questa è una risposta corretta. Di sicuro ci sarebbe chi indicherebbe la scelta di un linguaggio efficace oppure la capacità di cogliere l’attimo.
Quasi nessuno, ne sono più che convinto, risponderebbe che l’aspetto fondamentale per ottenere scatti di qualità è la capacità di vedere il mondo come lo vede la macchina fotografica.
Soltanto comprendendo pienamente come la fotocamera rende la scena che inquadriamo ci metterà al riparo da errori e frustrazioni.
Purtroppo imparare a vedere come la nostra macchina fotografica è un aspetto della fotografia molto spesso sottovalutato, con tutte le conseguenze negative che comporta la cosa.
Impariamo a conoscere i materiali grezzi con i quale lavoriamo
Uno degli aspetti che più mi affascina della fotografia è sicuramente il materiale grezzo che utilizziamo per creare i nostri scatti.
I pittori hanno a disposizione tele, colori e pennelli. Gli scultori possono contare sul marmo, sul bronzo o sulla creta. Noi!? Noi fotografi, su cosa possiamo contare?
Quali sono i materiali grezzi della nostra arte?
spazio
luce
tempo.
Ditemi se questo non è già singolare di per sé.
La nostra macchina fotografica, però, non vede questi tre elementi esattamente come li vediamo e percepiamo noi.
Per alcuni questo può rappresentare un ostacolo.
Purtroppo è così, ma quando avremo imparato a vederli come li vede la nostra fotocamera, avremo quasi sicuramente fatto nostro il segreto forse più importante della fotografia e il fatto che la nostra macchina fotografica vede in modo differente spazio, luce e tempo non sarà più un ostacolo, ma un’enorme opportunità creativa.

© Walter Meregalli – Il molo. Il nostro cervello restituisce la terza dimensione durante la decodifica, con un processo di simulazione. La macchina, invece, produce una versione popolata soltanto da forme geometrice bidimensionali
Spazio, ecco come lo vede la macchina
Partiamo dal primo materiale grezzo a nostra disposizione: lo spazio.
Il modo nel quale noi percepiamo lo spazio, il mondo, la scena che abbiamo di fronte, è fondamentalmente diverso da come lo vede la nostra fotocamera.
Mentre noi vediamo il mondo in tre dimensioni, la nostra macchina fotografica ne produce una versione bidimensionale, la cui resa finale è largamente influenzata dalla lunghezza focale che impieghiamo.
Il fatto che la macchina fotografica produca una realtà bidimensionale è un aspetto piuttosto subdolo e che spesso confonde i fotografi con meno esperienza.
La confusione si concretizza sostanzialmente in due momenti distinti
durante la codifica – quando la macchina fotografa la realtà
durante la decodifica – quando guardiamo una fotografia
Quando scattiamo, la nostra macchina fotografica comprime in due dimensioni la realtà tridimensionale.
Questo è un processo totalmente estraneo al modo in cui gli occhi, in accoppiata con il cervello, percepiscono il mondo. Al netto di alcune teorie scientifiche dell’ultima ora, siamo in grado di vedere il mondo a tre dimensioni, percependone la profondità grazie al lavoro di entrambi gli occhi e al cervello che ne combina le immagini.
La fotografia ha invece una visione mono-oculare e quindi priva di profondità, questo, in parole molto semplici, significa che la macchina fotografica produce una versione della scena a due dimensioni, il cui aspetto è pesantemente influenzato dalle caratteristiche implicite dell’obbiettivo che montiamo.

Ecco come la macchina “vede” la scena del molo
Ecco il primo momento di confusione, legato appunto alla codifica.
Il secondo momento che può generare confusione, invece, è legato alla decodifica, e cioè a quando osserviamo lo scatto finale.
Di fronte ad una fotografia, prodotto palesemente bidimensionale, il nostro cervello porta a termine un complesso, ma per lo più istintivo, processo di decodifica, che la psicologia della forma (Gestaltpsycholgie) spiega in modo molto approfondito, attraverso il quale tende a restituire la terza dimensione mancante.
Soltanto se avremo imparato a vedere come vede la nostra macchina fotografica avremo la certezza che non si crei confusione nel delicato momento della decodifica.

Suonatore di flauto a Jaswant Thada, Jodhpur. Profondità di campo ridotta, un concetto estraneo al modo in cui l’occhio umano percepisce la realtà
A fuoco e fuori fuoco
Ecco un altra grande differenza tra come i nostri occhi e il nostro cervello percepiscono la realtà e come, invece, la vede la fotocamera.
A meno che non stiate usando obbiettivi basculanti o prolunghe a soffietto, la nostra fotocamera è in grado di mettere a fuoco soltanto una porzione dell’inquadratura, la cui estensione è significativamente influenzata dalla profondità di campo.
I nostri occhi non funzionano molto diversamente, anche noi impieghiamo una visione con messa a fuoco selettiva, ma la grandissima differenza è tutta nella velocità con la quale occhi e cervello riescono a mettere a fuoco e a passare da un piano all’altro, di gran lunga superiore a quella offerta da qualsiasi sistema di autofocus, anche dal più sofisticato.
Questa rapidità di messa a fuoco relega drasticamente la nostra percezione di fuori fuoco, tanto da suggerirci, praticamente, una realtà sempre completamente a fuoco.
Chiaramente questo non accade con la fotografia, anzi l’uso dello sfocato è addirittura una tecnica molto apprezzata e che può produrre risultati di assoluta qualità.
Di sicuro però, al netto della creatività, non possiamo sottovalutare questa ulteriore differenza sostanziale di percepire lo spazio.
Come gli obiettivi influenzano il modo di vedere lo spazio della nostra macchina
Differenti lunghezze focali producono differenti risultati finali della stessa scena, sia per l’angolo di campo più o meno ampio che riescono ad abbracciare, sia per la capacità di dilatare o comprimere i piani, sia per le distorsioni più o meno accentuate che introducono nella resa finale.
Dobbiamo imparare a conoscere come un grandangolo influenzi il modo nel quale la fotocamera vede la scena e come si differenzi da un obiettivo normale o da un teleobiettivo, sia in termini di ampiezza di angolo di ripresa, sia in termini di compressione dei piani, sia in termini di distorsione dei soggetti ritratti.
Con una focale corta, lo spazio si estende e lo sfondo assume un peso importante.
Al contrario, con una focale spinta, i piani si comprimono.
Consigli per vedere lo spazio come lo vede la fotocamera
Per prima cosa, un fotografo DEVE imparare a vedere la scena (lo spazio) escludendo la terza dimensione.
Deve cioè imparare a trasformare la realtà, popolata da elementi tridimensionali, in una versione semplificata, abitata da forme geometriche euclidee a due dimensioni, quali linee, triangoli, quadrati, rettangoli e poligoni vari.
Soprattutto, un fotografo DEVE imparare ad anticipare come queste forme geometriche bidimensionali verranno rese, in base alla focale impiegata e al punto di ripresa.
Questo è il primo passo, forse non immediato, ma assolutamente necessario, che dobbiamo compiereper imparare a vedere lo spazio come lo vede la nostra macchina.
Il primo consiglio è quello di imparare a vedere il mondo scomponendolo in forme geometriche bidimensionali.
Il secondo consiglio, invece, è quello di imparare a vedere il mondo attraverso le caratteristiche dei diversi obiettivi.
Il terzo consiglio, anch’esso molto legato alle ottiche che impieghiamo, è imparare ad anticipare l’influenza della profondità di campo.
Luce, ecco come la vede la macchina fotografica
Per meglio capire come la macchina fotografica percepisce la luce e soprattutto come si differenzia, ancora una volta, da come la percepiamo noi, è necessario introdurre il concetto di gamma dinamica o range dinamico.
Con gamma dinamica di una particolare scena facciamo riferimento alla differenza, espressa in EV, tra il valore di luminanza più basso (quello delle zone d’ombra) e quello più alto (quello delle zone di luce) presente in quella particolare scena.
Lo stesso concetto lo si applica anche ai sensori, indicando con gamma dinamica del sensore il massimo intervallo di luminanza che un sensore può catturare in una singola esposizione, ma, per essere più corretti, anziché esprimerla in EV, la esprimiamo in f/stop (del tutto equivalenti=
I modelli più economici, solitamente, si attestano su 5/7 stop, mentre i modelli di fascia alta sono in grado di una gamma dinamica doppia, attorno ai 15 stop.
L’occhio umano va molto oltre i 15 stop, coprendo infatti fino a circa 24 EV.

Occhio umano vs. sensori digitali
L’ampiezza della gamma dinamica del sensore influenza il risultato finale.
In scene caratterizzate da un elevato contrasto, difficilmente il sensore sarà in grado di abbracciare tutta la gamma dinamica della scena e noi saremo chiamati scegliere per cosa esporre, influenzando di conseguenza cosa bruceremo o cosa manderemo a nero.
Se ad esempio la scena che stiamo inquadrando ha un soggetto in “zona 5” e contemporaneamente un altro in “zona 20”, dovremo scegliere se esporre correttamente per l’uno o per l’altro, sapendo già prima di scattare che nel caso decidessimo di spostarci verso la “zona 5” irrimediabilmente perderemo i dettagli in “zona 20” e viceversa, proprio perché esterni al massimo range dinamico a disposizione.
Questo è un passaggio fondamentale da comprendere, perché, ancora una volta significa imparare a vedere come vede la luce la macchina fotografica.

© Walter Meregalli – Lettura serale – Esponendo per la piccola area chiara sulla testa del soggetto, ho calcolato che il resto della scena sarebbe risultato largamente sottoesposto rispetto alle reali condizioni, ma che, grazie alla gamma dinamica estesa del mio sensore, le aree nere, prive di dettagli, sarebbero stato limitate, e sarei comunque riuscito a registrare dei dettagli anche nelle ampie zone in ombra. Questo ha reso lo scatto molto diverso dalla scena reale, creando un effetto pittorico molto simile ad alcuni dipinti di Caravaggio.
Consigli per vedere la luce come la vede la fotocamera
Il primo consiglio è quello di capire che gli esposimetri sono tarati sul grigio medio.
Il secondo consiglio è che la lettura esposimetri è soltanto un suggerimento dal quale partire per ottenere l’esposizione che più ci soddisfa.
Il terzo consiglio è quello di familiarizzare con la gamma dinamica del nostro sensore, sia per evitare di commettere errori, sia per imparare ad usarla in maniera creativa.

© Walter Meregalli – Running to Stand Still – Gli scatti nascono nella testa del fotografo, sorretti dall’intento che lo spinge a fotografare quella scena, ma il fotografo DEVE sapere come la sua macchina “vede” il tempo, se vuole estendere la propria visione
Tempo, ecco come lo vede la macchina
Vedere il tempo. Questa sì che è una bella sfida, ma dobbiamo vincerla, imparando a vedere il tempo come lo vede la nostra fotocamera.
Se, fino ad ora, l’uomo si è dimostrato una vera mean machine per dirla all’americana, e cioè una macchina perfetta e superiore a qualsiasi modello di fotocamera, quando affrontiamo l’ultimo materiale grezzo, il tempo, l’occhio umano mostra il fianco.
Non importa quanto ci sforzeremo, non riusciremo mai e poi mai a congelare, ad esempio, la gocce d’acqua di una fontana, come può farlo una macchina fotografica impostata con un tempo di scatto di 1/4000″.
Per contro, la nostra percezione non si avvicinerà mai a come una fotocamera registra un soggetto in movimento, se impostiamo un tempo di scatto lungo.
La foto sopra dimostra in modo molto efficace la differenza tra come la macchina percepisca il tempo. Impostando un tempo di scatto relativamente lungo, il camion in movimento è stato registrato mosso, mentre la mucca, immobile, è perfettamente a fuoco.

Airone nelle backwater del Kerala. Per congelare il volo dell’airone, ho scelto un tempo rapido: 1/500″.
Ecco un esempio contrario, un tempo rapido ha congelato il volo dell’airone e con lui la scia d’acqua che alzava.
Consigli per vedere il tempo come lo vede la fotocamera
Il primo consiglio è comprendere l’effetto della velocità dell’otturatore (tempo di scatto) sul risultato finale quando la scena presenta soggetti in movimento.
Più il tempo di scatto è rapido e più il movimento del soggetto viene congelato. Più il tempo di. scatto è lungo e più il movimento del soggetto viene rappresentato mosso e meno inciso, fino a scomparire del tutto.
Il secondo consiglio è fare pratica.
Concludendo…
Attraverso le scelte che faremo, sia in termini di obiettivi, sia in termini di parametri di scatto, chiederemo alla nostra macchina fotografica di modificare il modo in cui rappresenterà nella fotografia finale lo spazio, la luce e il tempo.
Imparare a vedere come la nostra macchina fotografica è la chiave per accedere alle infinite. possibilità di interpretare lo spazio, la luce e il tempo che questa ci offre, ampliando la nostra visione e la nostra creatività
Non è forse magia, questa!?
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