
Faccio una premessa, ho cominciato a fotografare con la pellicola e allora non c’era modo per capire se uno scatto era venuto bene o no. Bisogna aspettare di ritirare le stampe – o come nel mio caso le scatolette gialle con i telaietti delle dia montate. Solo in quel momento si riusciva a capire se quello che avevamo scattato era uno schifo totale o, al contrario, rispecchiava le nostre aspettative. Questo, se non altro, mi ha insegnato a fare bene i miei conticini.
Oggi, per capire se quello che stiamo facendo è quello che vorremmo fare, abbiamo un potente alleato: gli istogrammi.
Non cadiamo nell’errore comune del principiante di fidarsi del display, Il piccolo monitor sul retro della nostra reflex va benissimo per ricontrollare l’inquadratura, ma ci dà solo delle indicazioni sull’effettiva esposizione. Gli istogrammi sono il solo modo per capire come abbiamo esposto lo scatto.
L’errore più grave che possiamo commettere scattando in digitale è SOVRAESPORRE TROPPO. Mandiamo questa cosa a memoria, per cui, nel dubbio, sottoesponiamo.
COME SI LEGGONO GLI ISTOGRAMMI Premetto che non sono un patito degli istogrammi – difficilmente li inserisco nei miei workshop – ma ammetto che sono uno strumento molto utile, se capito a pieno.
Gli istogrammi sono la rappresentazione cartesiana di quanti pixel hanno lo stesso valore tonale. Messa così può spaventare molti – me compreso – e allora vale la pena spiegarsi meglio…
Sull’ascissa – asse orizzontale – riportano la quantità di luce, a sinistra le ombre – o neri – e a destra i bianchi – o alte luci, come si diceva un tempo. L’ordinata – asse verticale – riporta la quantità pixel. Quando vediamo dei picchi, significa che ci sono tante zone nella nostra inquadratura che hanno quella particolare intensità di luce. Questo è quello che c’è da capire e non mi pare materia per un’esame di fisica nucleare. Per cui, una foto buia avrà un istogramma con picchi concentrati sulla parte sinistra, mentre una foto chiara, al contrario, mostrerà una concentrazione di barrette, più o meno alte, nella parte destra. Tutto chiaro fin qui? Speriamo, per cui proseguiamo.
L’esposizione ideale non presenta grandi picchi, ma soprattutto non presenta buchi sull’asse delle ascisse.
Ora, però, l’istogramma perfetto corrisponde alla fotografia di un cartoncino grigio medio esposto correttamente… ci interessa!? la risposta è no! – per lo meno la mia. Non facciamoci ossessionare dalla ricerca dell’istogramma omogeneo, usiamo piuttosto lo strumento per capire se la nostra macchina è in grado di registrare quello che vogliamo e se lo fa nel modo che ci aspettiamo.
Cosa andare a leggere negli istogrammi Concentriamoci davvero su quello che conta e lasciamo perdere le idiozie puramente teoriche – mi pare un buon approccio…
Ben vengano i picchi nelle barre degli istogrammi, in particolar modo se si trovano nella parte sinistra: significano scatti contrastati, vivi, dinamici. Solo noi sappiamo se stiamo sottoesponendo la scena per renderla più drammatica, il nostro esposimetro non può saperlo… in questo caso sarà ovvio avere dei picchi concentrati a sinistra – non spaventiamoci.
Un istogramma che presenta una modesta campana al centro e nessun picco è la radiografia di uno scatto dal cuore morto, il trionfo del grigio, del piatto – anche se dal punto di vista teorico, probabilmente, sarebbe l’istogramma più prossimo all’ideale, noi non vogliamo produrre scatti morti!!!
Evitiamo però di concentrare troppi picchi a destra, magari preceduti da un lungo buco, questo significa una fotografia sovraesposta, di sicuro bruciata e il buco prima delle alte luci ci dovrebbe dire che poco di quello che abbiamo inquadrato è esposto correttamente.
Se stiamo fotografando una scena chiara, gli istogrammi saranno spostati verso destra, ma più riempiamo l’asse delle ascisse e più la nostra scena mostrerà una completezza tonale. A meno che non si tratti di una foto altamente creativa, i nostri istogrammi non dovrebbero presentare larghi buchi sulle ascisse.
Se la scena è scura o la nostra scelta creativa è di sottoesporre, gli istogrammi saranno concentrati sulla sinistra. Per come sono costruiti i sensori, nel caso sbagliassimo, meglio sbagliare sottoesponendo, che non sovraesponendo. I dettagli totalmente bruciati non sono recuperabili, nemmeno con Photoshop. I dettagli nelle ombre, si possono invece sempre schiarire.
Il mio consiglio è semplice: imparate a leggere gli istogrammi, ma non fateli diventare né la vostra ossessione, né la vostra priorità – la fotografia è ben altro.
Un’ultima cosa, quasi tutti le reflex digitali, anche nelle versioni più economiche, offrono una modalità che mette in evidenza sul display, colorandole e facendole lampeggiare, le aree della scena che risulterebbero bruciate – clipping o highlight warning o aree bruciate. Questa è una funzione MOLTO importante, perché ci dice immediatamente quale saranno le aree completamente bianche e cioè prive di dettagli – cioè bruciate. A differenza degli istogrammi, che richiedono un minimo di pratica in più, il clipping è immediato perché colora di blu, di rosso o di nero intermittente le aree irrecuperabili direttamente sul display, anche prima di aver fatto click. Ricordiamoci di questa funzione, ci aiuterà ad esporre meglio.
Ok, vi ho spaventato… un ultimo consiglio, se imparate a fare bene e in fretta i conticini (tempo/diaframma) e imparate a conoscere la vostra macchina, degli istogrammi potete pure dimenticarvene – ma non dite che ve l’ho detto io…
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