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Impariamo a vedere il mondo come la nostra macchina fotografica

La finestra al primo piano di un lodge di Manang, durante il giro dell'Annapurna, è un ottimo punto di vista privilegiato. Tutto sta nel cercarlo, immaginarne le potenzialità e aspettare

La finestra al primo piano di un lodge di Manang, durante il giro dell’Annapurna. La macchina fotografica non coglie la tridimensionalità e tutto diventa un alternarsi di linee e forme, in questo caso tre poligoni, uno grigio, uno verde e uno giallo, poi delle linee (lo steccato) e un cerchio (il cappello)


Lo scorso weekend ero in giro per Milano a fotografare con con un gruppo di amici per uno degli workshop che organizzo, tutti alle prime armi, ed è emerso uno dei “soliti problemi” – il “problema” era stato evidenziato anche nel workshop precedente, quello dedicato alla composizione fotografica, nonostante i partecipanti di quello fossero decisamente fotografi con maggior esperienza.

Uno dei più grandi problemi per chi fotografa è imparare a vedere la realtà come la vede la macchina fotografica.

Potrebbe sembrare una banalità, ma non lo è.

I nostri occhi, il nostro cervello, sono strumenti di gran lunga più potenti e più flessibili di qualsiasi modello di macchina fotografica abbiate acquistato, questo è bene che lo si capisca subito. I nostri occhi mettono a fuoco in modo rapidissimo e non ci consentono di godere di una profondità di campo ridotta. I nostri occhi si adattano alle differenze di luminosità come nessuna reflex e riescono a leggere scene con una gamma di luminosità sconvolgente, cosa che non viene particolarmente bene alle macchine fotografiche. I nostri occhi e il nostro cervello riescono a mantenere la tridimensionalità del mondo che guardano.

Queste tre capacità sono tra quelle che più rendono difficile vedere il mondo come lo vede una reflex.

Impariamo a vedere la luce come la nostra macchina Il primo passo è quello di capire come l’esposimetro della macchina fotografica legge la luce. Il dispositivo è stato studiato per “dare l’ok” quando il tono su cui è puntato per effettuare la misurazione è simile ad un grigio medio. Questo significa che qualsiasi macchina fotografica, indipendentemente dal suo costo,  è contenta ed espone correttamente quando il tono letto nella scena si avvicina ad un grigio. Ci va bene, dal momento che quasi tutti i toni del mondo esterno si avvicinano al tono di grigio per il quale gli esposimetri sono tarato. Ho scritto quasi tutti i toni  e in questo “quasi” si nasconde la prima insidia. Che succede se abbiamo a che fare con dei neri o dei bianchi, decisamente lontani dal grigio medio? L’esposimetro della macchina viene preso in giro e consiglia un’esposizione non corretta. I nostri occhi non si farebbero fregare! Ma le macchine sì ed ecco che, in corrispondenza di bianchi puri, i loro esposimetri cercano di ricondurli ad un grigio e consigliano di chiudere il diaframma, motivo per il quale le nostre foto verranno scure. Al contrario, se stiamo inquadrando un soggetto molto scuro, addirittura nero, la macchina cercherà di convincerci ad aprire e quindi tutto verrà slavato e più chiaro. Se poi la scena presenta una differenza elevata di luminosità – ad esempio un castello controluce e una vasta porzione di cielo terso di fine ottobre (come è successo durante lo scorso workshop) – la macchina è in scacco. Irrimediabilmente, se esponiamo per il cielo, il castello si ridurrà ad una silhouette nera e se esponiamo per il castello, il cielo diventerà una macchia bianca. In ognuno dei due casi, molto diverso da quello che vedono i nostri occhi. È bene saperlo, non ci si può fare molto, se non affidarsi a tecniche avanzate o post-produzione, ma ci eviteremo frustrazioni nel guardare gli scatti successivamente.

Tutto è a fuoco per i nostri occhi Per la nostra macchina no! Quello che è ha fuoco dipende dalla profondità di campo che scegliamo. Dobbiamo capire bene cosa regola la profondità di campo – diaframma, focale e distanza dal soggetto ritratto – per capire se quello che stiamo ritraendo verrà tutto a fuoco, proprio come lo vedono i nostri occhi. Ma soprattutto dobbiamo capire come funziona la macchina fotografica e come funzionano gli obiettivi, per ottenere quello che i nostri occhi non sarebbero mai in grado di vedere e cioè sfocature importanti, per sottolineare i soggetti in primo piano.

La fotografia crea una realtà a due dimensioni Il nostro cervello è un campione nel riprodurre la tridimensionalità del mondo, la nostra macchina non è in grado. Per la macchina fotografica il mondo è bidimensionale. Questo è un assioma da imparare e dobbiamo sforzarci a vedere anche noi le forme bidimensionali che vedrebbe la nostra macchina fotografica. Per cui, una casa altro non che un poligono, una strada che corre verso l’orizzonte, due linee che vanno a convergono in un angolo. Tutto il mondo tridimensionale si trasforma in forme bidimensionali: triangoli, linee, cerchi, ellissi e queste forme sono la sostanza della fotografia. Impariamo a vederle e sfruttiamole.

Quando impareremo a vedere come la macchina che portiamo al collo o che teniamo in mano, saremo un passo più vicini a fotografare meglio

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