
Abluzione mattutina nel Gange, Varanasi
Fotografare significa registrare la realtà. NO! Non è così! E chi pensa che sia così, non potrebbe cadere in un errore più grave.
Quando scattiamo una fotografia, non registriamo quello che ci sta davanti. Quando scattiamo una fotografia, creiamo una realtà bidimensionale tutta nostra, che, del mondo reale, prende solo spunto, ispirazione. Non mi stancherò mai di dirlo nei miei workshop.
Molti di noi, troppi, sono portati a pensare che fotografare significhi registrare la realtà. Ma non c’è nulla di più mendace e di più subdolo. Dobbiamo essere consapevoli, sin da subito, che la fotografia è SEMPRE una versione manipolata della realtà e quando dico “manipolata”, non intendo corretta attraverso qualche diavoleria di post-produzione.
La manipolazione della realtà è intrinseca nell’atto di fotografare, perché, anche la fotografia più realistica è sempre il prodotto di un processo creativo. Ma se nella pittura, ad esempio, l’intervento della creatività del pittore è ovvio, nella fotografia, a parte alcuni esempi di fine art photography, la manipolazione spesso è meno evidente, ma c’è e c’è sempre.
La fotografia è frutto di una scelta che siamo chiamati a fare arbitrariamente inquadrando. L’INQUADRATURA definisce un nuovo spazio e una nuova realtà, nonostante gli elementi all’interno di essa facciamo parte del mondo reale. Inquadrando operiamo una scelta – più o meno consapevole – su cosa dovrà esistere nello scatto finale e su cosa invece no. Ed ecco la prima vera manipolazione della realtà! Attraverso l’inquadratura ci apprestiamo a creare un nuovo mondo a due dimensioni. Molti di noi sottovalutano l’importanza di questo passaggio, che personalmente ritengo fondamentale.
L’inquadratura isola un frammento di realtà, ne delimita un mondo (nuovo) che vive in cattività, all’interno del perimetro dettato dai lati del formato.
Dopo il click, per chi guarderà la nostra fotografia, QUELLO CHE STA FUORI DALL’INQUADRATURA, NON ESISTE e quello che sta dentro è governato dalle regole della composizione e vive e racconta una storia tutta sua, che potrebbe anche essere completamente diversa, se non opposta, a quella raccontata dal mondo reale al momento del click.
Questo è il paradosso creativo più singolare e più potente della fotografia, che, nata per registrare il mondo, si trova a crearne uno nuovo, che risponde alla visione del fotografo. Questo paradosso può essere anche piuttosto fuorviante, soprattutto quando al fotografo è chiesto di rispondere ad un’etica morale e professionale, come ad esempio ai fotoreporter, dai quali ci aspettiamo che raccontino la realtà, per altro richiesta in qualche maniera utopica: ognuno dei loro scatti racconterà la loro soggettiva della realtà, prodotto delle loro ispirazioni, visioni, convinzioni e intenzioni. Ciò che conta è non lasciarsi sorprendere in modo fin troppo ingenuo.
Tornando all’inquadratura: è il primo momento creativo che ci mette a disposizione la fotografia. Attraverso l’inquadratura abbiamo il potere di indirizzare lo scatto e di isolare un mondo, più o meno soggettivo, più o meno rispondente alla realtà. Solo questo dovrebbe inebriarci, non trovate!?

Pensiamoci la prossima volta che usciamo a scattare.
Scegliamo con cura le nostre inquadrature, pensiamo a ciò che vogliamo far vivere nel nostro nuovo mondo e pensiamo a quello che vogliamo lasciar fuori.
Inquadrare è un gesto potente.
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