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Narrazione fotografica: allenare l’occhio

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L’arte di raccontare attraverso le immagini passa attraverso l’occhio, il cuore e la macchina fotografica,  per parafrasare uno dei più grandi visual story teller mai vissuti, Henry Cartier-Bresson.

Ma cosa significano occhio, cuore  e macchina fotografica?

Se la macchina è la tecnica e il cuore, la passione, che cos’è l’occhio?

L’OCCHIO è la capacità di vedere, che va oltre il semplice guardare.

Guardare non basta

Il fotografo non può accontentarsi di guardare, DEVE imparare a “vedere”. Se intendiamo raccontare una storia, dobbiamo prima riuscire a vederla. Ho cominciato a cincischiare con la macchina fotografica al collo da ragazzino, guidato da un vecchio saggio  della fotografia italiana, la cui pazienza era inversamente proporzionale al talento. Il mio paziente, ma burbero, maestro non faceva che ripetermi “guardati attorno, testa di rapa, non smettere mai di guardarti attorno, devi essere curioso e devi imparare a guardare le cose a gambe all’aria”.

Allora non capivo proprio esattamente quello che il buon Pietro Donzelli cercava di dirmi, ma ci provavo, più per non deludere il grande vecchio e quando mi riusciva, il buon Donzelli si lasciava sfuggire un “ah, a l’era ura!” – che ìn milanese significa “finalmente, era ora”.

Siate curiosi

Di quei primi giorni mi forse rimasta una cosa: LA CURIOSITÀ. Non possiamo raccontare una storia se la storia non ci incuriosisce per primi, se non ci interessa, se non ci appassiona.

La curiosità dev’essere la benzina che ci muove e che ci porta a vedere le nostre storie, nascoste nelle scene che ci palesano (più o meno) di fronte.

Non importa quanta competenza tecnica possiamo avere, se non siamo in grado di vedere, faremo sempre molta fatica a raccontare storie interessanti, singolari, toccanti.

E’ questione di allenamento

La capacità di vedere si può allenare, imparando a prestare attenzione ai dettagli, guardando dove gli altri non guardano, per pigrizia o conformismo, mantenendo sempre alta l’attenzione e cercando un continuo connubio tra cuore e tecnica, avventurandosi su tecniche, sperimentando e cercando di mettere la tecnica al servizio della narrazione.


Non dobbiamo mai smettere di osservare.

Osservare i dettagli, osservare la luce, osservare le geometrie. Studiare la scena, che sia abbia o meno la macchina fotografica in mano. Immaginare l’inquadratura, immaginarla con tre diaframmi più chiusa, ripensarla ripresa con un grandangolo spinto. Osservare. Osservare le crepe dei muri, gli intonaci che si staccano, le pieghe del mento della cassiera che ci dà il resto e come la luce della finestra la illumini. Osservare!

Le storie sono continuamente davanti a noi, scrive Jerod Foster. Non posso che essere d’accordo con lui.

Quante volte abbiamo guardato lo scatto di un altro fotografo e ci siamo detti – con un filo di invidia, suvvia confessiamolo – “cazzo io questo mica l’ho notato” e magari quella scena l’abbiamo davanti agli occhi tutti i giorni e chissà da quanto…

Le storie sono costantemente davanti a noi, vero è che alcune vale la pena di raccontarle più di altre, ma non è questo il punto, non ora. Il punto è che dobbiamo fare leva su una costante curiosità, che a sua volta scateni la nostra capacità di osservare il mondo che ci circonda.

Per quali motivi non vediamo le storie che abbiamo davanti?

Una delle ragioni più ricorrenti è di certo l’abitudine. Dobbiamo imparare a guardare come guarderebbe uno straniero, anche se non è cosa facile.

Dobbiamo imparare a scomporre la realtà in micro-realtà.

Ci accorgeremo della folla sulla Broadway se cominciamo ad osservare uno ad uno i diversi volti, le diverse espressioni.

I dettagli sono un ottimo acceleratore di storie.

Anche le grandi storie passano per i piccoli dettagli, impariamo ad usare la retorica, se funziona per gli scrittori, funziona anche per noi.

Raccontiamo le nostre storie attraverso il linguaggio delle figure retoriche – per iniziare almeno, per allenarci (a queste voglio dedicare uno dei prossimi post).

La sineddoche, ad esempio, la parte per il tutto. Ritraiamo un dettaglio per significare la totalità.

Spesso troppo presi dalla ricerca della storia perfetta, sottovalutiamo la forza del dettaglio, quando, altrettanto spesso, la storia è proprio nel dettaglio.


Alleniamoci a  vedere i dettagli, farà bene alla nostra capacità di raccontare storie attraverso le immagini.


 

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