
I colori del tramonto in Kerala
Ma quante Indie esistono!? Questa sì che è una domanda alla quale non riesco a rispondere e più ci torno in India e più ne trovo. In questo post vi propongo un photo tour possibile: il Kerala, nella estremità meridionale del sub continente.
Il Kerala offre un ottimo punto di partenza per chi si affaccia per la prima volta alla realtà indiana e teme che lo shock possa essere difficile da sopportare. Il Kerala, rispetto a zone più settentrionali dell’India, è decisamente meno caotico, più pulito e più alla portata del viaggiatore inesperto.
È possibile raggiungere il Kerala abbastanza comodamente, sia dall’Italia, sia dalle principali città indiane, volando sull’aeroporto internazionale di Trivandrum. Il mio consiglio è di ritirare i bagagli e salutare la capitale del Kerala, per prendere alloggio nella vicina Kovalam.
Kovalam è una piccola cittadina che si affaccia sull’Oceano Indiano e al fotografo offre qualche soluzione più interessante che non Trivandrum. Due giorni possono bastare, suddividendoli tra le spiagge dai sapori maldiviani e il porto dei pescatori di Vizhinjam Port. Il piccolo porto offre moltissimi spunti, dalle tradizionali e coloratissime barche da pesca, ai volti segnati da sole e salsedine dei pescatori. Un tramonto è obbligatorio dedicarlo al faro di Vizhinjam Beach, poco più a nord del porto.
Lasciata Kovalam, dopo circa tre ore di macchina verso nord, si raggiunge Allepey, dove consiglio a tutti di prenotare una notte su una delle tantissime boat house che navigano le backwaters della zona. Alloggiare su questi piccoli hotel galleggianti è un’esperienza deliziosa ed offre notevoli spunti fotografici, soprattutto dalle parti dell’alba, con i campi di riso sotto il livello del mare che confinano con palme e vegetazione equatoriale.
Dopo Allepey è la volta di Kumarakom. Consiglio di passare almeno un paio di giorni a Kumarakom, da dividere tra il Bird Sanctuary, che va percorso rigorosamente in barca, e i villaggi attorno a Kottayam.
Lasciamo la zona delle backwaters per spingerci verso l’interno dello stato, verso le montagne e le piantagioni di tè, al confine con il Tamil Nadu. Il paesaggio cambia via via che la macchina macina i chilometri e le palme e la vegetazione equatoriale lasciano rapidamente il posto ad eucalipti, tek, bambù e a piante di cardamomo – è incredibile quanto sia vasta l’area coperta da questo tipo di pianta. Puntando a ovest, verso Thekkady, entriamo nel Parco Nazionale del Periyar, un vero e proprio paradiso per ciò che riguarda flora e fauna. Thekkady, in sé, offre poco, ma è situata in una posizione molto comoda per chi si voglia addentrare nel Periyar, con la speranza di incontrare – e fotografare – la regina della foresta indiana: sua maestà la tigre. Incappare in una tigre non è cosa così comune, molto più facile, invece, è riuscire a fotografare bufali d’acqua, elefanti, renne, cinghiali, martin pescatori, aquile e chi più ne ha, più ne metta. Attenzione! Non aspettatevi nulla di oltre modo avventuroso, ma di sicuro, un trekking nel parco del Periyar o una risalita in barca, valgono la pena – soprattutto se avrete modo di essere lì all’alba, che assume un fascino decisamente unico. La piccola Thekkady alla sera offre invece un interessante spettacolo di arti marziali; il kalary payat. Più che di un combattimento nel vero senso del termine, si tratta di un’esibizione di circa novanta minuti, ma, credetemi, le emozioni sono assicurate e anche le foto.

Le piantagioni di tè in montagna
Lasciata Thekkadi, è la volta di Munnar. Soltanto raggiungerla vale la pena. Il trasferimento, di appena una novantina di chilometri, richiede però almeno tre ore abbondanti, ma è uno spettacolo per sé. Ci si arrampica sui tornanti tra il Kerala e il Tamil Nadu, attraverso le dorsali ricoperte dalle piantagioni di tè di montagna, che si alternano alle foreste di cardamomo e eucalipto. Lo spettacolo che offrono le piantagioni di tè è unico – da fotografare all’alba e al tramonto, per coglierlo al suo meglio. E nel resto della giornata, ecco invece che vanno in scena le donne che lavorano nelle piantagioni, con i loro volti e i loro gesti, sempre uguali nel tempo.

Le reti da pesca cinesi a Cochi
Ultima tappa Cochin. Quattro ore di macchina separano Munnar da Cochin – consiglio di spezzare il trasferimento da Munnar, fermandosi per la notte lungo la strada, magari a Muvattupuzha, una volta affrontato e lasciato alle spalle il tratto di strada di montagna, tortuoso all’inverosimile. Anche in questo caso però, il trasferimento offre moltissimi spunti fotografici: le colline, i piccoli villaggi, la vegetazione imponente, numerose cascate.
Cochin offre sistemazioni per tutte le tasche e Varrebbe la pena passarci almeno due o tre giorni, anche se inizialmente si può pensare che offra poco. Non è così. Come prima cosa, vale la pena farsi un giro in barca sul lago, che, nonostante s’insinui nella città, offre scorci davvero singolari, oltre ad un’inaspettata fauna maestosa, tra aquile, cormorani, martin pescatori e molto altro ancora. La seconda meta obbligatoria è Fort Cochi. Fort Cochi, fondata nei primi anni del ‘500 dai portoghesi sulle terre concesse loro dal re di Cochi, rappresenta l’eredità del primo periodo coloniale – il periodo portoghese, appunto, e si offre all’obiettivo coloratissima e dinamica. Quasi per magia, ci si ritrova in un dedalo di stradine relativamente sgombre dal traffico cittadino, sulle quasi si affacciano edifici coloniali e chiese cattoliche. A Fort Cochi è obbligatorio una puntata al mercato delle spezie e alla lavanderia pubblica – dhobi khana – che si trova sulla Cemetery Lavanderia Road. La dhobi khana è una vera e propria chicca, una carezza per il fotografo, un piccolo mondo antico, tutto da catturare, fatto di personaggi unici e di edifici che sembrano uscire da un romanzo di Emilio Salgari. Lasciata la dhobi khana, vale la pena fare un salto sul lungomare, partendo da Vasco de Gama Square, e dare un occhio alle reti da pesca cinesi e ai numerosi baracchini che vendono il pesce appena pescato alle loro spalle. Lo spettacolo delle Chinese fishnet regala il suo meglio al tramonto. Il secondo giorno lo si può invece dedicare alla zona del Quartiere Ebreo (Jew Town), con le sue gallerie d’arte e i suoi negozietti tipici – attenzione che, in alcuni di questi, l’affare è davvero a portata di mano. Non si può lasciare Cochin senza aver assistito alla tradizionale danza del Kerala: il khatakali. In città ci sono quattro o cinque teatri che propongono lo spettacolo, alcuni molto intimi, altri più turistici. In quelli turistici, solitamente, va in scena una versione tagliata dello spettacolo, mentre nei teatri più piccoli è addirittura possibile assistere al trucco dei ballerini. Io l’ho vista in una di questi piccoli teatri e consiglio l’esperienza, nonnostante, tra trucco, spiegazione e danza, lo spettacolo duri quasi tre ore, ma, datemi credito, le opportunità per portarsi a casa scatti memorabili è troppo ghiotta.
Quando andare in Kerala? Praticamente sempre, tolte magari le settimane che vanno da giugno ai primi di agosto, dove il monsone è particolarmente impegnativo. Per il resto il Kerala offre una vantaggiosa occasione di avvicinarsi alla magia dell’India, in modo poco traumatico,
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