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Story telling fotografico: come passare da uno scatto ad una storia

Story telling, di sicuro queste due parole non hanno mai goduto di tanta celebrazione come in questi ultimi tempi.

Sembra che tutto si sia trasformato in un immenso calderone narrativo, a volte anche a sproposito, ma si sà, è così che funziona quando un particolare concetto riesce a fare breccia in modo trasversale.

Ecco che assistiamo alla grande abbuffata… fino a quando il fenomeno non scemerà e tutto tornerà nella normalità, fino alla santificazione in salsa (multi)mediatica del nuovo fenomeno.

© Walter Meregalli – La fiamma – Ho notato un ragazzino avvicinarsi alle candele accese con una candela spenta in mano. Ho “battezzato” che il mio istante cruciale fosse il momento quando il soggetto, al di fuori dell’inquadratura, avesse finalmente acceso la sua candela. Ho impostato i parametri, composto e atteso. L’attesa, breve, è stata premiata. Una storia nel segno del minimalismo,


Una storia può essere ovunque,  ma non tutto cela una storia

Proprio perché ottimi spunti per una narrazione fotografica si nascondono più o meno ovunque, il rischio è che molti di noi, soprattutto chi alle prime armi o chi arso dal fuoco creativo, possano cadere nell’errore che basti puntare una macchina fotografica, inquadrare una scena e scattare per ottenere una buona storia,

Sì, le storie sono ovunque, ma non per questo qualsiasi scena nasconde una storia che valga la pena raccontare.

Che cos’e’ una storia?

La definizione di storia più sintetica di cui dispongo è questa: una storia è la narrazione di eventi concatenati, veri o inventati che siano, che si sviluppano secondo una trama.

Ogni storia ha sempre:

  1. un autore,

  2. una trama

  3. un pubblico di riferimento

  4. oltre che spesso, uno scopo.

Se mi concedete un approfondimento nell’ambito della linguistica, una storia rappresenta uno strumento per stabilire una connessione tra l’autore e il pubblico  e si basa su un paradosso: per connettersi con il proprio pubblico di riferimento, l’autore  deve essere in grado di suscitare un’emozione,  ma, al tempo stesso, per emozionare il proprio pubblico, è necessario che l’autore riesca  a stabilire una connessione.

bimba a varanasi

© Walter Meregalli – Bimba nei vicoli della città vecchia (Varanasi). Ecco un’altra storia costruita sull’attesa (premiata). Tecnica e composizione, oltre ad un messaggio emotivo accattivante rendono questo scatto una buona storia


Esempio vs. storia

Non si tratta della stessa cosa e ce ne accorgiamo ogni volta che assistiamo ad una noiosissima presentazione costruita soltanto su dati e informazioni crude, prive di qualsiasi aggancio alla nostra sfera emotiva.

Elencare dei numeri non è raccontare una storia, è fare un esempio.

Ma se il nostro relatore è stato accorto e ha saputo introdurre una variabile emotiva nella sua esposizione, un dettaglio o un aspetto capace di suscitare in noi empatia, ecco che passa dal fare un esempio a raccontare una storia.

Introdurre una variabile emotiva nell’esposizione, è raccontare una storia ed è proprio grazie a questa variabile emotiva che le storie non ci annoiano o ci annoiano un po’ meno degli esempi.

Per cui, potremmo sintetizzare così: STORIA = CONTENUTO + EMOZIONE

altalena madhya pradesh

© Walter Meregalli – La soddisfazione di raccontare una storia unica e di farlo condensandola in un istante sospeso dal tempo. Qui la tecnica è tutta a supporto del focus


Impariamo a scattare una storia 

Durante i miei workshop di story telling fotografico o nel corso delle mie lezioni online, mi piace fare spesso paralleli tra la scrittura e la fotografia, prendendo in presto molti concetti che sono alla base della teoria della semantica e della critica letteraria, oltre che della linguistica.

Personalmente fotografo per raccontare storie, che a volte posso paragonare a racconti brevi, nel caso di scatti sciolti e a sé stanti, o a racconti,  nel caso di sequenze o essay, fino a romanzi di un certo corpo, nel caso di progetti più articolati e complessi.

COSA SEPARA UN SEMPLICE SCATTO DA UNA STORIA?

Personalmente credo che, al netto di un solido intento, uno scatto,  per tramutarsi in una storia debba essere il prodotto finale di una visione.

Se l’intento risponde alla domanda perché voglio scattare questa scena, la visione risponde inveve a tutte quelle domande che si riferiscono a come voglio scattare questa scena.

Un solido intento e una visione curata bastano per garantire il passaggio da scatto a storia?Purtroppo no, ma ne assottigliano la distanza.

Perché i nostri scatti si trasformino in storie dobbiamo misurarci con il messaggio che intendiamo trasmettere, con la sua capacità intrinseca di interessare il nostro pubblico di riferimento e con l’empatia che  il messaggio, attraverso la nostra personale visione è in grado di suscitare.

© Walter Meregalli – Il bimbo a Fathepur Sikri. Qualche penna, qualche quaderno, una lattina di coca cola e una manciata di rupie hanno spinto questo ragazzino a seguirmi fino alla fermata dell’autobus e ad attendere che l’autobus partisse per salutarmi


Le nostre storie sono spesso racconti brevi

Non dimentichiamoci che spesso siamo chiamati a raccontare storie attraverso un solo scatto e che uno scatto, a differenza di un racconto o ancora meglio di un romanzo, può essere paragonato giusto ad un racconto breve.

Come gli autori di racconti brevi, che non possono contare su descrizioni approfondite di luoghi o di personaggi, né tanto meno su introduzioni o digressioni, anche noi scrittori per immagini, story teller fotografici, dobbiamo imparare a gestire al meglio gli elementi che abbiamo a disposizione per raccontare la nostra storia, eliminare quelli superflui, comporre con attenzione, scegliere la tecnica corretta – che deve sempre essere da supporto e mai protagonista.

La capacità di produrre storie fotografiche di qualità dipende sicuramente da un solido intento, da un messaggio in grado di emozionare e di stabilire una connessione empatica per sé e da una visione – che mi piacerebbe non riduceste ad un sinonimo di “esecuzione” – capace di trasmettere il nostro messaggio.

Raccontare con le immagini non è una cosa per pigri

Se vi aspettavate un bel decalogo a punti con i dieci trucchetti per raccontare storie fotografiche, temo di avervi deluso.

Purtroppo narrare è un’arte e, anche se qualche trucco del mestiere,  in effetti, esista, molto ha a che fare con il nostro approccio alla fotografia, che non dovrà mai prescindere dalle conoscenze tecniche, ma le cui conoscenze tecniche non bastano.

Il mio maestro Pietro Donzelli, mi ripeteva sempre “Nini, va che la tecnica la imparano anche i muli”. Aveva tragicamente ragione, come sempre, ma dietro quella sua ricorrente butade si nascondeva una secondaria che Pietro non pronunciava mai e che lasciava soltanto supporre: “ma i muli non sanno fotografare”.

Perché questo è il segreto e la singolarità della fotografia, quella vera, quella che prova a raccontare e ad emozionare.

È un po’ come avere a che fare con un cocktail, 1/3 di tecnica, 1/3 razionalità, 1/3 di emozione e una spruzzata di culo (nel senso di “fortuna”).

Ecco, questo cocktail, credo rappresenti piuttosto bene la fotografia, per come la intendo, ma l’aspetto ancora più delizioso, empirico, intimo e singolare, che rende la fotografia ancora di più una questione personalissima, è che nessuno di quei terzi è mai davvero 1/3.

Se questo articolo ti è piaciuto, potresti essere interessato anche a:

  1. Story telling fotografico, da dove cominciare

  2. Story telling fotografico: la composizione come strumento fondamentale

  3. Narrazione fotografica: sviluppare una “visione”

 

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